Perché alcune coppie durano nel tempo e altre no?
Robert Neuburger definisce la coppia come «la storia di un incontro che dura, cioè di due persone che si sono incontrate e che per varie ragioni non si separano». Ma perché alcune coppie durano nel tempo e altre no?
Enrico Cheli, psicologo psicoterapeuta, sottolinea come «in passato la motivazione stessa del matrimonio – mettere su famiglia – poneva in secondo piano il partner in quanto individuo, anzi entrambi erano chiamati a rinunciare alla loro individualità (ammesso che ne avessero mai potuta sviluppare una) a favore della famiglia». Anche Rogers scrive: «Spero sia chiaro che il sogno di un matrimonio “paradisiaco” è assolutamente non realistico, che ogni rapporto duraturo tra un uomo e una donna richiede una grande applicazione, e che occorre costruirlo, ricostruirlo e ravvivarlo con il mutuo crescere delle persone».
I nostri rapporti di coppia quindi sono fragili, forse più fragili che in passato perché più liberi, non condizionati come un tempo da doveri o imposizioni. È un grande rischio ma anche una grande opportunità. Oggi, il legame è una condizione perennemente in bilico fra la possibilità di essere mantenuto o rotto. Ma paradossalmente è proprio la certezza che la separazione appartiene ad uno degli scenari realmente possibili che può aiutare la coppia a viversi come il frutto di una reale scelta e quindi a rimpegnarsi nella costruzione del progetto comune. È stato scritto: «Solo se so che, pur soffrendone, posso comunque anche vivere senza di te, solo allora saprò che se scelgo di stare con te è perché davvero lo voglio, anche nei momenti difficili» (Illusioni di coppia – Roberto Berrini, Gianni Cambiaso).
È la grande sfida delle coppie in difficoltà: il rapporto va in crisi, cadono le certezze. Non si può sicuramente più proseguire il rapporto per abitudine o convenienza. Anche i sentimenti sono spesso annientati e non sono di sicuro una spinta a mantenere il legame, perché magari si è consumato un tradimento o si è generata una distanza emotiva profonda.
Pensare alla separazione in questo caso come un’eventualità possibile spaventa ma potrebbe essere indispensabile per decidere cosa fare. Pensare di vivere la propria vita senza più quel compagno, quella compagna, impone farsi carico di una responsabilità rispetto a sé, al legame, agli spettatori di quel legame: i figli, le famiglie d’origine, la comunità in cui si vive. E a quel punto occorre una grande onestà con sé stessi e un grande coraggio perché ancor più grave sarebbe non risolvere la crisi per paura di separarsi ma assumere l’infelicità e la rassegnazione come esempio di adattamento. O la finzione e la bugia come clima naturale tra le mura di casa.
Magari può spaventare l’idea del “fallimento” della fine di un amore, ma occorre prendere in considerazione anche il “fallimento” di scegliere di rimanere impantanati e infelici in una situazione disfunzionale. Scegliere per la felicità è invece farsi carico della rottura e scegliere la strada della riparazione. Questo non si realizza attraverso l’inseguire la relazione perduta, quella del passato, ma un’unione nuova, diversa, perché una crisi richiede sempre un cambiamento, la scelta di investire su nuovi progetti condivisi e una nuova intimità emotiva, che permetta ai partner di riconnettersi affettivamente e comunicarsi reciprocamente sogni e bisogni.
È una strada lunga, impervia ma che potrebbe condurre a orizzonti inaspettati. «Dopo che una relazione si è incrinata ci viene naturale nascondere il danno, magari evitando di parlarne, facendo finta che sia tutto come sempre, ma queste esperienze continuano a vivere dentro di noi se non ne prendiamo atto, non le elaboriamo…», scrive lo psicologo A. Petrarca Paladini. E se proprio non è possibile riparare il progetto di coppia, è sempre possibile riparare sé stessi come persone, rinunciando a svilirsi vicendevolmente con un clima ostile e cercando di cogliere, oltre la rabbia e la delusione, l’affetto e la gratitudine per il percorso condiviso.
Scrive ancora Petrarca: «E se la relazione si dovesse comunque interrompere sta a noi decidere se buttare i cocci del rapporto (come in un vaso infranto e non più riparato) oppure magari, a distanza di tempo, abbracciare l’esperienza, ricomponendola nel nostro ricordo, saldando le parti con un filo d’oro». È quanto ci insegna l’arte giapponese del kintsugi di aggiustare i vasi rotti con polvere d’oro. Così che, come un vaso rotto e riparato con materiale prezioso vale di più, anche una relazione rotta e riparata può acquistare più valore di prima.
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