Perché 3 Sì e 2 No nel Referendum sulla giustizia

Una valutazione articolata dei 5 quesiti referendari proposti per il voto del 12 giugno da parte di un avvocato cassazionista
Referendum giustizia Foto Valerio Portelli/LaPresse Cerimonia inaugurazione dell'anno giudiziario

Anche io come molti, sono convinto che i referendum non siano il migliore strumento per affrontare temi complessi. Ma se un merito lo hanno, è quello di portare all’attenzione del grande pubblico argomenti che diversamente rimarrebbero ad appannaggio di pochi addetti al settore.

I quesiti referendari del 12 Giugno ne sono un esempio: cinque domande sui temi della Giustizia che possono scomporsi in un tre più due: tre quesiti si propongono di apportare modifiche alla legge sull’Ordinamento Giudiziario, ovvero la legge che si occupa della organizzazione della giurisdizione; gli altri due intendono eliminare la cd. Legge Severino e modificare parzialmente la norma in materia di misure cautelari.

Proverò ad esprimere le ragioni del mio sì ai tre referendum sull’Ordinamento Giudiziario e i miei due no agli altri due, assolutamente consapevole che il limitato spazio di un articolo, doverosamente improntato a sintesi, porta in se il rischio (direi la certezza) di mancare di completezza di rappresentazione e di argomentazione.

La legge sull’Ordinamento Giudiziario, nella sua impalcatura essenziale, risale al 1941, con modifiche che nel tempo i vari legislatori hanno apportato ma sempre lasciando intatta una visione di fondo: l’organizzazione della giurisdizione è delegata in via esclusiva alla Magistratura. Ne sono esclusi, espressamente o di fatto, altri attori della giurisdizione ed in primis gli avvocati. A distanza di oltre 80 anni, i risultati sono indicati dai numeri, e sono numeri implacabili: per ottenere una sentenza definitiva in sede civile occorrono una media di 12 anni, in sede penale una media di 8.  

Se concordiamo, e credo che sul punto non ci sia discussione, che la Giustizia è un servizio essenziale che va reso alla collettività – e dunque al cittadino – e che una Giustizia resa con tempi abissali da quando è stata richiesta equivale ad una “non giustizia”, le conclusioni sono presto fatte: chi ha ricevuto ininterrottamente la delega esclusiva per l’organizzazione della giurisdizione ad oggi non è stato in grado di offrire una risposta adeguata.

Il tema non è puntare il dito contro la Magistratura, e tantomeno contro i magistrati, ma chiedersi se non sia il giunto momento di provare a condividere questa responsabilità, se non sia giunto il momento di allargare a tutti i soggetti attivi della giurisdizione, la responsabilità e l’onere della organizzazione, perché, è cosa certa, che quando le responsabilità si condividono, si aumentano le forze e le idee e si allentano le tensioni

I “Sì” ai tre quesiti sull’ordinamento giudiziario, soprattutto quello relativo alla valutazione del magistrato,  non introdurrebbero automaticamente questo coinvolgimento, ma consentirebbero almeno di porre con forza il tema

Il “si” sul tema della valutazione dei magistrati: oggi i magistrati sono valutati all’interno di un organismo composito che si chiama Consiglio Giudiziario solo ed esclusivamente dai loro colleghi: i magistrati valutano i magistrati.

Si chiede di potere estendere anche ad avvocati e professori universitari tale valutazione. Non sarebbe molto ma avrebbe almeno il merito di consentire anche agli altri attori della giurisdizione di dire la loro sulla idoneità del Giudice o del PM – che essi hanno visto e potuto apprezzare al lavoro – a svolgere la funzione che lo Stato, e dunque la Società, gli ha assegnato. Avrebbe anche il senso, solo simbolico ma di assoluta importanza per una Magistratura in crisi di fiducia ed autorevolezza, di offrire l’immagine di una Magistratura aperta, non chiusa né timorosa dei giudizi e delle valutazioni perché serena del lavoro che svolge, anche ponta, se necessario, a sanzionare coloro che, per negligenza o per incapacità, la funzione cui sono chiamati non svolgono.

Il “Sì” sulla cd. Separazione delle carriere, più correttamente identificabile con una separazione di funzioni: se il quesito ricevesse il consenso dell’elettorato, passato il concorso il neo magistrato dovrebbe scegliere se coltivare una carriera da requirente (pubblico ministero) o giudicante.

Sono convinto della necessità di questo passaggio per completare un percorso iniziato nel 1989 con il nuovo codice di procedura penale che da un sistema inquisitorio passava ad un sistema accusatorio: la prova si forma nel dibattimento in un confronto tra parti – accusa e difesa – che devono stare sullo stesso piano, valutate da un giudice terzo, del tutto indipendente.

La realizzazione di una sezione del CSM che diriga i soli Pubblici Ministeri ed una carriera autonoma di questi dai giudicanti, aiuterebbe senz’altro a rendere completa tale terzietà. Si obietta, da chi è contrario, che il PM non è un “avvocato d’accusa” ma anch’esso parte pubblica: lo si diceva anche del Pretore che prima del 1989 svolgeva le indagini e sulla base delle stesse rinviava a giudizio dinanzi a se stesso e giudicava la persona che aveva esso stesso indagato: un sistema che oggi nessuno si sognerebbe di reintrodurre ma che al tempo venne osteggiato proprio in ragione del fatto che quel Pretore era una parte pubblica.

Ma sono convinto che sia una riforma necessaria anche perché la funzione di requirente e quella di giudicante necessitano di attitudini professionali e preparazioni tecniche/organizzative in buona parte differenti; dirigere e coordinare le indagini, è attività che necessita di aggiornamenti professionali che per una parte importante differiscono da quella necessaria a chi è solo deputato a rendere un Giudizio sul lavoro svolto da altri.

Il “si” alla riforma del sistema elettorale del CSM: se vincesse ogni Magistrato avrebbe facoltà di autocandidarsi per essere eletto nell’organo di autogoverno della Magistratura, mentre oggi occorrono 25 firme di colleghi che lo presentino.

Non è una riforma che mi appassiona, ma certamente avrebbe il pregio di facilitare una maggiore partecipazione al momento elettorale più importante per la Magistratura.  Un dato è certo: non impedirebbe la formazione delle cd. “correnti” ritenute le responsabili della perdita di prestigio della Magistratura. Se il sistema di selezione dei soggetti da eleggere al CSM deve seguire lo schema democratico, questo deve anche seguire le leggi del consenso: si elegge chi ottiene più voti, e viene eletto chi, per attitudine e/o per capacità, è più capace di altri di ottenere questo consenso. La regola vale per ogni sistema elettivo a qualunque latitudine esso venga praticato dalla più piccola bocciofila al Parlamento. L’alternativa è la composizione di un CSM per nomina, sistema che forse aiuterebbe ad essere più snelli, veloci e forse efficienti, ma con definitivo sacrificio della democrazia interna.

Anche i due quesiti referendari sulla cosiddetta legge Severino e sulle misure cautelari hanno certamente il merito di porre sotto la lente d’ingrandimento tematiche che in ogni caso hanno la necessità di essere affrontati, ma voterò NO: la legge Severino, insieme a molti meriti, ha manifestato alcuni segni di possibile debolezza quali la immediata sospensione dalle funzioni istituzionali/elettive di coloro che siano attinti da una condanna non definitiva di primo grado. Il problema è che si rischia di gettare con l’acqua sporca anche il bambino, nel senso che si abolirebbe anche l’automatica decadenza dalla carica istituzionale di coloro che fosse condannati in via definitiva per gravi reati e questo, francamente, lo reputo un sacrificio non accettabile.

Così come la tematica delle misure cautelari che cerca di accendere un faro sull’eccessivo uso della carcerazione preventiva frutto di un mix tra richieste troppo affrettate di alcuni Uffici di Procura in uno con uno scarso controllo delle stesse da parte dei rispettivi GIP. Ma nonostante che la problematica ad oggi oggettivamente sussista, eliminare del tutto il criterio della recidiva dalle possibili condizioni che legittimano la misura cautelare, rischierebbe di creare, seri problemi di ordine pubblico e tutela delle parti offese.

 

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In merito al referendum sulla giustizia del 12 giugno 2022 cittanuova.it dedica una serie di articoli di diversa opinione consultabili nel focus Referendum giustizia

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