Per uno scoop tutto è possibile?
L’intervista ottenuta da El Chapo, soprannome di Joaquin Guzman Loera Archivaldo, capo del cartello della droga di Sinaloa, per la rivista patinata Rolling Stones a firma Sean Penn, riapre una questione che negli ultimi tempi, con l’evoluzione del giornalismo dovuta al digitale, sta emergendo con sempre maggiore forza: cosa è lecito e cosa non è lecito per ottenere uno scoop? Una domanda che riguarda i “piccoli” cronisti e le grandi firme, quanto ottenuto da Nuzzi e Fittipaldi per il Vatileaks 2 e i servizi televisivi accomodanti sui film in uscita, gli articoli sui viaggi in magazine e quotidiani e i reportage di guerra.
Credo che, senza scandalizzarsi, debba essere di nuovo messo al centro del dibattito il problema della deontologia professionale. È scritto ad esempio nella Carta dei Doveri elaborata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana dell’8 luglio 1993 (ma gli esempi simili sono non pochi): «I cittadini hanno il diritto di ricevere un'informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario e non lesiva degli interessi dei singoli». E ancora: «Il giornalista rifiuta pagamenti, rimborsi spese, elargizioni, vacanze gratuite, trasferte, inviti a viaggi, regali, facilitazioni o prebende, da privati o da enti pubblici, che possano condizionare il suo lavoro e l'attività redazionale o ledere la sua credibilità e dignità professionale».
Credo che la nostra categoria professionale debba riflettere su alcune questioni riguardanti le “fonti”, cioè le persone o gli organismi che trasmettono al giornalista gli elementi che poi il cronista trasforma in notizia: 1. Si può “pagare” una fonte? 2. Va sempre controllata la liceità della fonte, ovvero se la fonte è credibile e agisce nell’ambito della legge? 3. Si può accettare che il proprio lavoro sia condizionato da chi lo finanzia dentro o fuori la proprietà? 4. Si può infrangere la legge, incontrando personaggi fuorilegge, per il diritto di cronaca? 5. Si possono trarre benefici leciti per il proprio lavoro anche se nella raccolta di informazioni vi sono stati atti illeciti?
Personalmente credo che il giornalista non possa mai infrangere il muro della legalità, salvo in contesti in cui la legge stessa viene calpestata: se ad esempio dà voce a qualcuno che vive sotto un regime dittatoriale per contrastare il tiranno, ovviamente la liceità di tale atto non è da mettere in discussione, in nome della legge più grande e del diritto internazionale. Ma in contesti di legalità garantita, come qui in Occidente, non credo che si possano pubblicare articoli pagati da una organizzazione, non credo proprio che si possa pagare a propria volta per avere informazioni, e non credo che si possano intervistare personaggi fuorilegge a fini evidentemente di tornaconto personale.