Per un’economia disarmata
Ne ha parlato con la ragazza, in famiglia e con gli amici, ma quel lavoro interessante, anche per la stabilità e lo stipendio, decide di rifiutarlo perché non vuole andare a costruire missili programmati per uccidere. La storia del giovane ingegnere, il 16 marzo 2016 nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera dei Deputati, ha accompagnato l’appello dei giovani del Movimento dei Focolari in cui si dice che «continuare ad alimentare i conflitti immettendo nel mercato una diversificata offerta di armamenti non può portare a una risoluzione degli stessi. Abbiamo già sperimentato che gli interventi militari nei Paesi del Mediterraneo non solo non hanno risolto i problemi ma hanno ulteriormente destabilizzato quelle nazioni a danno delle popolazioni locali e dei loro diritti». Affermazioni in contrasto con la regola non scritta di non mettere in difficoltà alcuni tra i parlamentari cortesemente presenti, tra i quali il presidente della commissione Difesa del Senato, Pierferdinando Casini, che hanno risposto appellandosi al “realismo politico” per dire, in sostanza, che siamo tutti a favore della pace ma le armi, purtroppo, sono necessarie e non si può cambiare da un giorno all’altro un intero sistema produttivo.
Già nel 2015, in una occasione simile, il sottosegretario agli Esteri, il radicale Benedetto Della Vedova, eletto con Scelta Civica, aveva affermato, onestamente, che il governo non poteva aderire a tali istanze. L’Italia non solo investe in armi, ma le produce per un mercato dove cerca alleati e acquirenti. È inevitabile perché, in questo settore, come spiega l’economista Luigino Bruni, l’offerta è sempre in grado di creare la propria domanda.
La ricerca di un’economia disarmata è uno degli obiettivi assunti dai Focolari in Italia nell’assemblea generale dell’ottobre 2015 in coerenza con la sua identità e storia. Il primo passo consiste nel trasferire i conti presso banche estranee alla produzione e commercio di armi.
Secondo i responsabili nazionali del Movimento, Andrea Goller e Rosalba Poli, la questione è complessa ma non ci si può arrendere «all’apparente e ingannevole idea che non esistano responsabilità». Bisogna partire da domande puntuali (riportate in fondo al testo) riproposte a luglio 2016, in un seminario con associazioni, partiti e centri di ricerca, promosso alla Camera dal Movimento politico per l’unità (espressione dei Focolari) su “Guerre, scelte di pace e riconversione industriale”. In quella sede, dove è intervenuto anche Francesco Saverio Garofani, presidente della Commissione difesa della Camera, un giornalista di grande esperienza, Toni Mira di Avvenire, ha affermato che «le risposte non date e i silenzi sono una costante nel nostro Paese davanti a troppi scandali come quello delle armi vendute ai Paesi in guerra. Un fatto che, secondo i media prevalenti, non ha i criteri di notiziabilità».
Dalle iniziative del 19 marzo con Libera a Messina alla partecipazione alla grande Marcia Perugia Assisi del 9 ottobre per la pace e la fraternità, preceduta da un seminario al Centro La Pira di Firenze sulla “menzogna della guerra”, i Focolari, con il gruppo di lavoro sull’economia disarmata, cerca di percorrere una strada assieme alle altre organizzazioni che rifiutano l’indifferenza verso la Terza guerra mondiale a pezzi, citata da papa Francesco, che continuamente collega la responsabilità dell’industria delle armi con l’idolatria del denaro. Per questo motivo, il 20 novembre alla fine dell’Anno santo della misericordia, una rappresentanza del Movimento è andata in piazza San Pietro per ribadire l’impegno preso in una lettera inviata al papa di «contribuire a disarmare “l’economia che uccide” lavorando per una riconversione integrale della produzione e della finanza».
E il 6 dicembre, presso l’Istituto di ricerche internazionali archivio disarmo, si è aperta una sessione di lavoro con economisti, sindacalisti, parlamentari e associazioni puntando i riflettori sulle scelte strategiche di Finmeccanica Leonardo, il declino industriale italiano e la ricerca delle migliori soluzioni nel campo dell’innovazione tecnologica e del lavoro. Un discorso in linea con il ripudio della guerra espresso in Costituzione ma da rendere effettivo in un dialogo aperto con tutti. Negli incontri pubblici si è cercato il confronto, ad esempio, con il generale Maurizio Fioravanti, già comandante della missione italiana in Libano, o con il professor Jean-Pierre Darnis dell’Istituto affari internazionali. Alla radice di quest’azione, collegata con la rete mondiale del Movimento presente in tante zone di conflitto come la Siria, vi è la percezione che spesso all’indignazione temporanea si associa la percezione dell’inutilità dell’azione secondo giustizia e, invece, come ci dice tuttora Igino Giordani, è solo la guerra ad essere tragicamente inutile.
DOMANDE CHE ATTENDONO RISPOSTA
In occasione del seminario promosso lo scorso luglio alla Camera dal Movimento politico per l’unità, Andrea Goller e Rosalba Poli, responsabili per l’Italia del Movimento dei Focolari, hanno ribadito la necessità, per i parlamentari presenti, di prendere sul serio l’invito a dare risposta ad alcune domande precise:
- Come mai micidiali bombe (prodotte per conto di un’impresa tedesca, ndr) partono periodicamente dal nostro territorio (Sardegna) per essere esportate in Arabia Saudita, Paese coinvolto nella guerra dimenticata nello Yemen, in violazione della legge 185/90 che vieta l’invio di armi verso le zone di conflitto o dove non si rispettano i diritti umani?
- Come mai Finmeccanica Leonardo (30% del capitale controllato dal ministero dell’Economia e finanza) sta cedendo progressivamente il settore civile per investire nel comparto delle armi seguendo “l’utopia” di una politica industriale degli armamenti che offre meno posti di lavoro di altri comparti tecnologici, promuove di fatto i conflitti armati diffusi a livello planetario e ha una scarsa ricaduta economica sul territorio? Perché non si destinano fondi pubblici alla riconversione dell’industria bellica come previsto nella legge 185/90?
- Come mai l’Italia ospita sul suo territorio, nelle basi militari di Aviano e Ghedi, decine di bombe nucleari quando può legittimamente chiedere agli Stati Uniti di riprendersi questi strumenti di morte come hanno fatto altre nazioni che appartengono all’Alleanza atlantica?
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