Per una vita indipendente e libera
Da Living City la storia di Lillibeth Navarro, che con la sua dedizione al Movimento per i diritti dei disabili è riuscita a portare un cambiamento nella sua vita e in quella di tanti altri.
Più di 12 mila adolescenti negli Stati Uniti sono ricorsi ad iniezioni di botulino nel 2009, e molti altri sfruttano la chirurgia estetica per migliorare il proprio aspetto: per avere successo, si dice, bisogna essere attraenti. Anche Lillibeth Navarro ha subito pressioni di questo genere in gioventù: tutte le donne nella sua famiglia erano belle, mentre lei era relegata su una sedia a rotelle a causa della poliomelite contratta all’età di cinque anni. La nonna continuava a dirle che era “speciale”, ma lei avrebbe voluto piuttosto essere “normale”: uscire con gli amici, ballare, avere un ragazzo e in futuro una famiglia.
Dopo aver studiato economia e commercio nelle Filippine, ha avuto l’opportunità di intraprendere la carriera giornalistica negli Stati Uniti. Con il suo primo impiego si è resa conto di come molte cose non le fossero accessibili: così nel 1985 si è unita al Movimento per i diritti dei disabili (Disability rights movement), assumendo presto un ruolo di guida.
Nel 2000, quando le è stato chiesto di aprire il centro residenziale Independent living centre (Ilc) a Los Angeles, ha accettato senza esitare. Una delle persone coinvolte era una sua ex datrice di lavoro, che l’aveva licenziata. «Tu?» ha esclamato la donna, sorpresa, mentre Lillibeth le veniva presentata come la fondatrice dell’Ilc. «Sì» ha risposto lei, senza alcun risentimento.
Da allora l’Ilc è cresciuto: i 7 impiegati iniziali sono diventati 16, e i programmi avviati sono passati da 7 a 13. È diventato così un punto di riferimento per tante persone con disabilità temporanee e permanenti, con l’obiettivo di aiutarle a condurre una vita indipendente nel proprio appartamento. «In un istituto invece – spiega Lillibeth – non puoi nemmeno decidere a che ora alzarti o andare a letto». Da qui il nome attuale del centro, “Communities actively living independent and free” (Calif), “Comunità che vivono attivamente in maniera indipendente e libera”.
Lillibeth mi accompagna nel suo ufficio, mentre i suoi colleghi lavorano in altre aree del centro. La gente arriva per ricevere informazioni e consigli sull’assistenza governativa e sugli ausili tecnici disponibili. «Abbiamo un piano di prestiti agevolati per le attrezzature che la gente comune non si può permettere – riferisce – e rendiamo disponibili le tecnologie più avanzate, come una app che facilita la comunicazione con chi ha impedimenti di linguaggio dopo un infarto».
Per fare davvero la differenza, però, non ci si può limitare ad un solo gruppo o una singola iniziativa. Nell’area di Los Angeles gli assistenti domiciliari che lavorano con disabili sono circa 180 mila, di cui molti senza assicurazione sanitaria perché ufficialmente non assunti – per quanto pagati – dallo Stato. Molti disabili, tuttavia, sono restii a chiedere maggiori diritti per chi li assiste, per paura di uno sciopero. Lillibeth però è riuscita ad ottenere il sostegno per l’istituzione di un registro degli assistenti domiciliari, così che questi possano concordare stipendi e condizioni di impiego migliori.
«Ci aiutano tutti i giorni, e non possiamo combattere per i nostri diritti alle spese di quelli degli altri». L’iniziativa ha avuto successo: ora molti hanno ottenuto l’assistenza sanitaria e paghe più eque. Allo stesso modo, ha cercato di conciliare le esigenze a volte contrastanti all’interno del movimento per i diritti dei disabili: rimuovere gli ostacoli per chi è in sedia a rotelle, ad esempio, può creare problemi di orientamento ai ciechi. «Ma se non capiamo i bisogni degli altri disabili, come possiamo pretendere che la società capisca noi?».
Una volta alla settimana alcuni degli impiegati del centro si incontrano in pausa pranzo, per condividere le loro esperienze e le loro riflessioni in una prospettiva di fede. Si vede dalle loro facce che sono soddisfatti di lavorare lì.
Lillibeth ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui il Los Angeles County Commission on Disability Recognition Award nel 1999. È anche stata scelta come “donna dell’anno” dallo Stato della California, un onore che non si sarebbe mai aspettata dopo essersi sentita rifiutata e discriminata per tanto tempo. Nel dicembre 2010, il governo filippino l’ha inclusa nella lista dei 24 connazionali di maggior rilievo residenti all’estero.
Per lei tutto questo è il risultato dell’aver avuto fiducia nell’amore di Dio: «È ciò che accade quando usi i tuoi talenti per qualcosa di più grande» afferma. Con il suo esempio ha dato coraggio a molte persone, disabili e non. «Ho sempre fatto esperienza della Provvidenza di Dio, e sentito un amore speciale da parte sua – continua –: dopotutto, anche Gesù guariva gli ammalati che incontrava».
Tuttavia, aggiunge, «c’è un senso alla sofferenza: la disabilità è una possibilità per dire il proprio sì a Dio ogni giorno». Anche una collega musulmana, con cui Lillibeth ha condiviso questi pensieri, ne ha trovato conferma nel Corano: «La dignità della vita umana è il terreno comune da cui partire e l’obiettivo da raggiungere in questo cambio di atteggiamento verso i disabili» afferma.
(traduzione di Chiara Andreola)