Per una siderurgia pulita
La produzione di acciaio è alla base di quella di tantissimi manufatti della nostra industria, dalla scatoletta di lamierino per il tonno, agli acciai per le macchine utensili, alle automobili, fino ai robot che le producono.
Per un paese manifatturiero come l’Italia lasciar morire la produzione locale di acciaio sarebbe strategicamente molto pericoloso: occorre ogni sforzo per mantenerla, anche al di là degli aspetti occupazionali. Essa ha però due difetti, in particolare per il nostro Paese: il primo è l’essere energivora, il secondo di essere inquinante, almeno con le tecnologie finora utilizzate.
Due difetti che possono essere superati dalla partecipazione azionaria nelle aziende produttrici di Paesi produttori, l’Algeria che nel diventare azionista di Piombino porta in dote il gas naturale e l’India che nel diventare azionista di Taranto porta in dote i suoi minerali di ferro: se opportuni accordi saranno siglati, si arriverà a produrre acciaio a prezzi competitivi e senza impatto ambientale, evitando di accettare il ricatto occupazionale di produzioni industriali dannose per la salute di chi vi lavora e di chi abita nel territorio circostante.
Riguardo all’impatto ambientale, nel caso della siderurgia il fattore determinante è la produzione e l’utilizzo nel processo produttivo del coke: il primo passo è chiudere le cokerie, cioè gli impianti che lo producono, distillando il carbone e recuperando a parte i suoi contenuti volatili molto inquinanti; il secondo è eliminare proprio l’utilizzo del coke dalla produzione dell’acciaio.
Negli altoforni tradizionali il coke viene alimentato dall’alto assieme ai minerali di ferro: bruciando esso porta via l’ossigeno al minerale di ferro riducendolo a ghisa, che poi sarà trasformata in acciaio nei forni elettrici; importando coke da altre fonti si evita l’inquinamento prodotto dalle cokerie, ma rimane l’impatto ambientale della logistica della importazione. Sostituirlo direttamente con gas naturale nell’altoforno non è possibile, a meno che il minerale di ferro tradizionale sia sostituito dal cosiddetto “preridotto”, minerale di ferro trattato con gas naturale all’origine, quindi un minerale che ha già subito una prima riduzione chimica (sottrazione di ossigeno) trasformandolo in un ferro spugnoso, alimentabile nell’altoforno con gas naturale e senza coke.
Il costo di questo pretrattamento dipende da quello del gas naturale, che in Algeria è un terzo che in Italia, per non parlare degli Usa dove il gas naturale da fracking è ancora più conveniente. Altrettanto vale per l’India, che ha avviato una grande produzione di minerale “preridotto” accanto alle sue miniere di ferro.
Quindi l’entrata nell’azionariato dei Paesi produttori questa volta ha un senso industriale: a loro interessa produrre per l’Europa a prezzi competitivi, arricchendosi anche della competenza e della capacità italiana di ideare prodotti di alta qualità molto apprezzati in tutto il mondo; noi manteniamo la nostra industria pesante ed i suoi posti di lavoro, senza più doverne subire il ricatto ambientale.