Per una Finanziaria partecipata
Le chiamavano Finanziarie omnibus, perché erano il risultato della somma di tutte le richieste possibili, le più disparate; chi aveva un santo in paradiso poteva trasmettere le sue suppliche e ricevere sicura soddisfazione, magari in cambio di qualche voto. Il presidente della Commissione Bilancio dal banco del comitato dei 9, il lungo tavolo che sta in mezzo all’emiciclo dell’aula parlamentare, governava abilmente la marea di emendamenti proposti, ossequiato da una moltitudine di deputati, nel più puro stile consociativo, dato che assicurava a chiunque lo interpellasse una quasi sicura rielezione, attraverso il finanziamento di una circumlacuale, di una nuova funivia o di un campanile… Ricordo gli educandati femminili di una città che ricevettero un finanziamento sottratto all’accantonamento per l’handicap… E tutto questo contribuiva non poco, di anno in anno, all’aumento esponenziale del debito pubblico. Erano Finanziarie che rispecchiavano governi brevi, frutto di compromessi fugaci, incapaci quindi di mettere in campo una programmazione vera. Già a partire dalla fine degli anni Ottanta, si avvertì l’esigenza di una riforma sostanziale in grado di applicare seriamente quanto recita la costituzione all’art. 81, che prescrive chiarezza sui mezzi di finanziamento. Ne uscirono Finanziarie più adeguate a perseguire una razionalità di bilancio: le tabelle dei capitoli di spesa erano più generali, la possibilità di emendamenti più limitata, ma soprattutto si decise di definire nell’art. 1 il cosiddetto tetto della manovra, cioè l’ammontare complessivo del ricorso al risparmio. E questo tipo di gestione del patrimonio comune liberò risorse prima bloccate dai titoli di Stato, ma soprattutto l’Italia poté raggiungere nel ’92 i parametri economici richiesti dal trattato di Maastricht e nel ’96 poté essere inserita nell’area dell’euro. La Finanziaria è sempre stata ostica, difficile da controllare da parte dei cittadini, ma non è facile nemmeno per i parlamentari. Presentata come una necessità contabile inevitabile, unitaria e quindi intoccabile, è sempre più spesso blindata dalla richiesta di un unico voto di fiducia complessivo. L’attuale Finanziaria 2006/7 è stata scritta – come ribadito dal capo del governo Prodi e dal ministro per l’Economia Padoa Schioppa – rispondendo a tre criteri: efficienza, stabilità, equità. Obiettivi di programma ottimi; ma il documento che fonda finanziariamente tutte le future decisioni dell’esecutivo non può più essere esclusivamente un prodotto che nasce e rimane dentro le mura del palazzo. Siamo davanti ad una fase diversa. Per amore o per forza si sono dovuti aprire tavoli di consultazione, di spiegazione e di revisione… Non si tratta di migliorare la capacità di comunicazione, aspetto peraltro importante. Si tratta di assumere un metodo: aprire un serio confronto, partecipato e consapevole, per poter poi affrontare, rettificate le priorità attraverso il dialogo, eventuali sacrifici o impegni pluriennali con una consapevolezza informata. C’è una visione della società da parte delle istituzioni politiche (e in questo non si vede molta differenza tra le diverse opzioni politiche, pur non mancando in entrambi gli schieramenti persone e gruppi più illuminati) che deve essere definitivamente superata: la società che la politica ha la responsabilità di servire, non è fatta di individui, al massimo aggregati in categorie produttive o peggio ancora meramente reddituali; la società è resa vitale da mille e mille aggregazioni, a partire dalla famiglia, su su fino alle comunità locali. Operando dentro la realtà sociale di oggi, ci si accorge che sta prendendo piede una richiesta nuova verso chi ha la responsabilità della decisione finale. Ciò che viene chiesto non è qualche trasferimento monetario in più, ma il riconoscimento di una soggettività capace di produrre risposte efficaci. Se la politica sembra spesso in difficoltà nel darsi prospettive a lungo termine e se non osa aprire orizzonti più ampi, a farci uscire dall’impasse anche finanziario potrà essere un nuovo stimolo alla partecipazione, superando antiche e inaccettabili diffidenze verso la società civile.