Per una cultura dell’unità
Un carisma, quello dell’unità, che si fa cultura. Che genera una nuova visione della politica, dell’economia, della sociologia, del diritto… È quanto emerge dal volume Carisma storia cultura, edito da Città Nuova, frutto del Centro Studi del Movimento dei Focolari. Ne parliamo con la giurista Adriana Cosseddu.
Con quale intento sono stati raccolti i contributi del presente volume?
«Alla base c’è forse qualcosa di più di un semplice intento, almeno se limitiamo il significato della parola a un proposito che ci si è dati, o a un obiettivo che ci si propone di raggiungere. I contributi raccolti, che vanno dalla sociologia alle scienze, dalla teologia all’economia, dalla politica al diritto, vorrebbero essere anzitutto “racconto” e “testimonianza”.
«Al lettore che si accosta al volume si intende offrire la possibilità di divenire partecipe di un cammino di vita e confronto fra studiosi delle varie discipline in un “dialogo” inedito. Da quell’osservatorio i saperi non hanno costituito mondi a sé, piuttosto “tasselli” di un unico mosaico, che si compone in una lettura interdisciplinare. Lasciandosi interpellare dalle tante domande dell’uomo contemporaneo, gli autori, membri del Centro studi del Movimento dei Focolari (Scuola Abbà), si sono posti in quell’atteggiamento che lo stesso papa Francesco spiega come bisogno di conoscere la realtà per esperienza.
«Ma vi aggiunge un passo ulteriore, quasi un dovere per l’uomo d’oggi: abituarsi a pensare. Non si tratta allora tanto di offrire ad alcuni specialisti o a una ristretta comunità di esperti il risultato di una ricerca, piuttosto si è avvertita l’esigenza di condividere con tanti il senso più profondo di una cultura capace di arrivare a ogni uomo, senza preclusioni e differenze, per scrivere insieme nuove pagine nella storia dell’umanità».
In una società liquida e in un mondo globalizzato dominati dal vuoto di senso e da un forte sentimento di spaesamento, il carisma di Chiara Lubich offre quale visione della storia umana?
«Chi vive oggi la propria quotidianità nel mondo della ricerca sperimenta come la cultura dell’uomo contemporaneo sia il riflesso di una complessità che ne segna la storia. Assistiamo al confronto tra culture e civiltà antiche e recenti; ma una globalizzazione non governata genera anche conflittualità e solitudine. In tale contesto, la sfida che gli studiosi hanno inteso raccogliere è stata proprio quella di fare del carisma di Chiara Lubich il “centro” della propria riflessione. Perché, che cosa può dire un Carisma in un mondo globalizzato e ad uomini in cerca di senso per il proprio futuro e di una propria identità come singoli e come popoli?
«Il carisma dell’unità, che con la Lubich si è affacciato nella storia del nostro tempo, non ha una valenza unicamente religiosa, ma come ogni Carisma ha in sé la capacità di cogliere i segni dei tempi. Ne offre una chiave di lettura, e con essa la possibilità di soluzioni e risposte originali. Uno storico come Henri-Irénée Marrou spiega la storia come “incontro con l’altro” strettamente legata alla comprensione degli “altri-da-noi”. Nella visione che scaturisce dal Carisma dell’unità vi è al cuore la concezione dell’umanità come famiglia dei popoli e delle nazioni, in un mondo che per la Lubich è impossibile pensare come mondo diviso tra vincitori e vinti. La famiglia umana è chiamata a realizzarsi sulla terra in una molteplicità di relazioni, non escludenti e potenzialmente conflittuali, ma inclusive e partecipative. La storia, a sua volta, non è più solo un susseguirsi di avvenimenti, ma è storia di vita e di persone reali, che compongono un nuovo soggetto, l’umanità.
«È una visione che incoraggia a ricercare vie nuove, capaci nell’accordo di superare le incomprensioni e spegnere le contese. Quell’amore-agape, che la Lubich ha compreso come assenza di confini, perché dal respiro universale quali figli di un unico Padre si traduce in una storia fatta di dialogo e dialoghi, per annodare fili spezzati, per riaccendere la comunicazione interrotta, per ravvivare l’interazione spenta».
È un carisma che delinea una nuova cultura, una “cultura dell’unità”. Può essere una risposta alla crisi culturale che stiamo vivendo?
«Direi proprio di sì, se pensiamo che oggi convivono mondi, per così dire opposti. I contesti sociali e le divisioni frutto di scelte e situazioni politiche, etniche, culturali e religiose diventano il sintomo di un cambiamento anche strutturale, ma il cui esito è ignoto. D’altronde, lo stesso Francesco, con la sua consueta efficacia, spiega: "Il carisma non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente". "L’inculturazione di un carisma – aggiunge – è una questione di mentalità", di modi di pensare e di agire. Si aprono indubbiamente sfide culturali avvincenti. Si fa strada la consapevolezza che un carisma ha risvolti concreti di vita e di stili di vita; il pensiero si traduce nell’ambito sociale, politico, economico.
«Mi piace richiamare qui il titolo inglese con il quale nel Convegno all’università La Sapienza di Roma (14 marzo 2013) si sono offerti i contributi rielaborati per il volume: "Light Life and Culture". Il termine “carisma” è tradotto con light, "luce" e la "storia" con life, "vita". Sono parole che spiegano bene il senso di un carisma: dono, appunto, di luce e di vita per l’umanità del nostro tempo.Oggi, in un contesto quale quello attuale, multiculturale e multireligioso, è evidente il rischio che la pluralità degeneri in frammentarietà, e che il pluralismo di identità culturali tanto diverse eriga muri e steccati, e con essi nuove emarginazioni. Troppo spesso forse dimentichiamo che un pluralismo culturale si declina nelle persone reali e interpella ciascuno di noi nell’incontro con l’altro. Il dialogo diventa dunque necessario.
«Lo stile che con il Carisma dell’unità si è diffuso nel mondo è fatto anzitutto di condivisione e accoglienza reciproca, mattoni essenziali per comporre la famiglia umana. Se dovessimo immaginare una rete che avvolge il mondo, diremmo che i "nodi" nella trama da indicatori di complessità da sciogliere possono mutare in legame necessario, per fare delle relazioni tra gli uomini un tessuto sociale unito dalla comunione di vita».
Lei ha scritto il contributo "Alle fonti del diritto tra norma e vita". Secondo l’illuminazione offerta dalla spiritualità dell’unità quale può essere l’apporto del diritto alla costruzione di una società nuova?
«Lo vedrei di grande novità. La prospettiva dalla quale il diritto guarda al mondo delle relazioni umane, per dettarne la disciplina, si confronta con il pensiero della Lubich a partire dal suo sguardo sull’umanità, di cui ha assunto contrasti e divisioni, ferite e spaccature. Non si cancella la doverosità delle norme, ma ci si volge anche "oltre", per guardare a un’esperienza giuridica inclusiva delle stesse relazioni, trama del tessuto sociale e al contempo materia prima del diritto. Dinanzi alla crisi dell’oggi in un mondo globalizzato diventa necessario ripercorrere un cammino che, risalendo alle "fonti" del diritto, metta al centro la persona "fonte" di ogni relazione. Tale prospettiva, fondata su un paradigma "relazionale", supera da un lato il concetto di una tutela giuridica misurata solo sull’individuo; dall’altro, ha in sé la capacità di mutare la pretesa del singolo in una ritrovata reciprocità di diritti e doveri. Mi colpisce sempre la visione di un filosofo del diritto, Capograssi, per il quale il diritto altro non è che la persona che si realizza nella vita in comunione con gli altri.
«Emerge un’apertura alla relazionalità che mi sembra confermare l’orizzonte dal quale la Lubich guarda a ogni uomo e a tutti gli uomini. La stessa rilettura dell’offesa come "ferita" nelle relazioni consente di ravvisare nel suo pensiero la possibilità di una metodologia di valenza giuridica. Ricomporre, infatti, diritto e giustizia in una "comune radice" significa non solo sentirsi responsabili con e per l’altro, ma intraprendere la via che consente di recuperare la capacità di relazione al cuore di ogni convivenza umana.
«Significa forse ripensare il diritto non tanto come strumento per tracciare limiti e confini, piuttosto un "ponte", che, è vero, segna la distanza, ma per renderla percorribile, colmando un "vuoto" altrimenti invalicabile. L’orizzonte diventa quello della fraternità, categoria annunciata dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, ma che oggi, dal cuore di un carisma, può trovare vie nuove per fare realmente dell’umanità una sola famiglia».
AA.VV., Carisma storia cultura, una lettura interdisciplinare del pensiero di Chiara Lubich (Città Nuova, 2014)