Per una conoscenza unitaria

Piero Pasolini, scienziato, uomo di sintesi tra intelligenza e fede, compagno di ricerca della verità per tanti giovani, redattore di "Città Nuova". A trent'anni dalla morte.
Piero Pasolini
Quando ho conosciuto “il carisma dell’unità”, da giovane amante della scienza qual ero, mi ha colpito il fatto che soddisfacesse contemporaneamente cuore e mente. Riproponeva cioè l’eterno messaggio cristiano in modo entusiasmante e allo stesso tempo “logico”, dando risposte sul senso della vita e del creato che anche l’intelligenza poteva accettare. Senza però che sparisse il mistero.

 

Una persona in particolare mi ha trasmesso questa unità di visione: Piero Pasolini. Nei suoi articoli su queste colonne di Città Nuova, l’avventura scientifica era raccontata con competenza (era fisico), rispetto ed ammirazione, trasmettendo allo stesso tempo il senso di meraviglia ed il piacere della scoperta. Si interrogava sul senso dell’universo, del vivere sociale dell’uomo e del posto che esso occupa nel cosmo: «Da una parte la linea dell’evoluzione va verso l’uomo, dall’altra la freccia parte da lui e va verso una trascendenza alla quale è per natura orientato».

 

Nei suoi articoli l’entusiasmo per l’ideale dell’unità non appariva in primo piano, ma muoveva la penna nel profondo per cui, alla fine della lettura di un testo che trattava magari di astrofisica, scoprivi che Piero alla tua anima e alla tua mente aveva parlato di Dio. E questo perché «coglieva il principio delle cose, capiva l’universale che sta sotto un problema o una situazione».

 

«Che Piero fosse unico lo si vedeva subito – spiega Alfredo Zirondoli, autore della biografia per Città Nuova –. Bastava incontrare quel suo sguardo intelligente e vivace o intuire, al di là di un sorriso appena abbozzato, quale ricchezza di vita autentica si nascondesse nella sua persona».

 

Che parlasse di fisica o filosofia, antropologia o astronomia, matematica o Dio, sempre si percepiva l’unità di fondo che egli rifletteva in ogni tipo di rapporto: scienza e fede, teologia e vita, razionalità e mistero. Per questo era così affascinante per i giovani del Movimento dei focolari, sempre intorno a lui per ascoltarlo e discutere qualsiasi argomento, anche il più sfidante.

 

 

Nasce il 5 agosto 1917 a Borghi, piccolo comune vicino Rimini, in Italia, da famiglia numerosa, laboriosa, onesta e stimata. Piero è piccolo, volitivo, robusto, interessato soprattutto a “strani aggeggi elettrici”, sempre col cacciavite nel taschino, pronto ad aiutare chiunque si trovi in difficoltà. Studia fisica all’università. Durante la guerra trova anche il tempo per scavare due rifugi per la gente del suo paese. Partecipa all’Azione cattolica e organizza “interminabili biciclettate” col suo gruppo.

 

Alla fine del 1949 la svolta della sua vita: incontra Ginetta Calliari, una delle prime compagne di Chiara Lubich, che gli chiede cos’è Dio per lui… «Rimasi senza parole, perché non lo sapevo. Quella domanda riemerse dopo che ci eravamo lasciati, durante la notte, perché per la prima volta avevo visto il mondo da un’altra prospettiva: contava Dio, non il resto». Una folgorazione.

 

Nel successivo incontro personale con Chiara, Piero scopre la fonte della luce che ha intravisto. Seguono anni intensi e radicali di vita nel focolare, prima in Italia, poi in Francia, Spagna, Germania, ovunque messaggero dell’ideale dell’unità. Spesso è a Loppiano, per dialogare con i giovani: «Ogni cosa viene all’esistenza e si realizza come conseguenza dell’unità di altri esseri. Tutto esiste per qualcos’altro, tutto è rapporto. Il Vangelo ci ha rivelato che anche l’uomo, come le cose, progredisce nel rapporto».

 

Il processo evolutivo che investe l’universo, infatti, rappresenta per lui il passaggio dalla molteplicità all’unità. E anche scienza e fede sono un tutt’uno per cui, pur delimitando con chiarezza i loro rispettivi campi d’azione, Piero ne fa un’integrazione “sapienziale”: «Dall’uomo in su ce l’ha detto il cristianesimo, dall’uomo in giù l’abbiamo scoperto scientificamente».

 

Nel 1967 è in Africa, per contribuire alla costruzione dal nulla, in mezzo alla foresta equatoriale, della cittadella di Fontem, in Camerun. Senza mezzi, riesce a procurarsi una turbina di seconda mano, a istallarla e farla funzionare, «bagnato di pioggia e sudore su ripidi e viscidi pendii, per far sì che “l’acqua diventi luce”».

 

E proprio in Africa, trent’anni fa, in quel continente che tanto aveva amato e per il quale si era dato tutto, a Nairobi il 26 gennaio 1981 conclude la sua vita terrena. Nell’incontro con alcuni giovani, il giorno prima aveva ricordato che «la vita è l’organizzazione dell’amore, amore che è il massimo dell’intelligenza». Le sue ultime parole: «Teniamo Gesù tra noi».

 

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