Per una Chiesa-comunione
Ottobre 1962-dicembre 1965. La Chiesa cattolica si raduna in concilio. Si ritrovano a Roma i vescovi venuti dal mondo intero, sono più di 2.500 e con loro vi sono anche un centinaio di osservatori non cattolici. È il papa buono, Giovanni XXIII, che li ha chiamati, spinto dal desiderio di spalancare le finestre della Chiesa sul mondo, di ridarle un nuovo slancio, un nuovo soffio, come in una nuova Pentecoste. L’iniziativa è ardita, non esente da pericoli, ma raggiungerà i suoi scopi. Aria di primavera Il Vaticano II ha cambiato il volto della Chiesa e con esso quello di ogni sua comunità. Quanti hanno vissuto negli anni cinquanta lo possono attestare. Ero ancora un ragazzino il giorno in cui Paolo VI ne chiuse la quarta e ultima sessione, ma ricordo come se fosse ieri di quell’aria di primavera che per anni ha emanato da quella parola per me magica: Concilio. Ben presto quell’onda di freschezza arrivò pure nella nostra parrocchia, alla periferia di Bruxelles. E con essa il rinnovamento: si passò dal latino al francese, dal sacerdote che dà le spalle a quello che ti guarda in volto, dall’eucaristia ricevuta sulla lingua a quella nelle mani. E le sedie che erano tutte ben allineate in direzione dell’altare troneggiante nell’abside, sono state disposte in cerchio, mentre l’altare stesso è stato spostato al centro della nostra chiesa per meglio raccoglierci tutti. Non erano cambiamenti soltanto esterni o di poco conto. Erano sostanziali, veicolavano una nuova visione del nostro essere Chiesa: più fraterna, familiare e comunitaria. Dio stesso risultava perciò più vicino. Non eravamo più soltanto di fronte a lui, uniti nella preghiera e nell’adorazione: eravamo anche insieme attorno a lui e con lui, in un atteggiamento di ascolto che si apriva più facilmente al dialogo e allo scambio fra noi. Popolo di Dio Questo nuovo volto della Chiesa, promosso e diffuso in tutto il mondo mediante la riforma liturgica, è conforme all’immagine di essa che danno gli altri documenti del Concilio. La Lumen Gentium(1) – che è la vera colonna vertebrale di tutta l’opera conciliare (Henri de Lubac) – ne offre il ritratto più completo. Nel suo secondo capitolo essa presenta la Chiesa come un popolo, il popolo di Dio, rimandando al suo terzo capitolo la trattazione della sua costituzione gerarchica. La scelta di questo ordine è il segno di un profondo cambiamento di prospettiva. La concezione piramidale della Chiesa (papa, vescovi, sacerdoti, laici), che per secoli ha dominato il pensiero cattolico, lascia ora il posto alla rinnovata coscienza del uguale dignità di tutti i suoi membri. È un ritorno al monito di Gesù: Non fatevi chiamare rabbi, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli (2). La diversità dei ministeri e dei carismi che sono finalizzati al bene di tutto il corpo ecclesiale non è di certo negata, anzi ne esce persino rafforzata, ma la priorità è data all’unità tra tutti. Il sacerdozio stesso appare di nuovo per quello che è: un servizio reso alla comunità per via di una chiamata ricevuta da Dio. A questo proposito diceva molto bene sant’Agostino: Se mi spaventa l’essere per voi, mi rassicura l’essere con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è il nome di ufficio, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza (3). Tuttavia, anche se l’immagine del popolo di Dio è stata predominante nell’immediato post-Concilio, essa non è il punto di partenza della Lumen Gentium. Questo risiede nel oggetto del suo capitolo primo che ha per titolo: il mistero della Chiesa. Una Chiesa-comunione Questo mistero è la realtà profonda che la anima: l’amore di Dio, l’immenso amore del Padre che Gesù ci manifesta e che riceviamo nello Spirito. È questa la vera radice della Chiesa che è un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo(4). Nella prospettiva aperta dal Concilio, la Chiesa è innanzitutto un mistero di comunione, un mistero d’amore (vedi riquadro in alto). Essa è in Cristo, in qualche modo (…) il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (5). Meditando queste poche parole si prende coscienza della grandezza del disegno di Dio su di essa e della responsabilità che incombe su ciascuno dei suoi membri. Il loro modo di essere e di agire dovrebbe suscitare la sorpresa e l’attrattiva di quanti non ne fanno parte. Questi dovrebbero essere condotti da essa a trovare non solo un rapporto con Dio, ma anche la speranza concreta della pace e della fratellanza universale. Che siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me (6). Questa ultima preghiera di Gesù al Padre rivela l’anelito di Dio di rendere tutti gli uomini partecipi della sua vita intima, la vita trinitaria. Il Padre ci ama come ha amato il Figlio, Gesù e, se lo vogliamo, ci dona di gustare già, nell’unità, un anticipo della beatitudine del Cielo. Le comunità cristiane delineate dal Concilio hanno per vocazione specifica di essere delle piccole icone della Trinità. Sono chiamate a riflettere, nell’amore reciproco dei loro membri, il mistero insondabile della comunione trinitaria ed a essere così segni di speranza per tutti (vedi riquadro sotto). La realizzazione effettiva di questo dover essere della Chiesa non può essere che l’opera di Dio del quale tuttavia siamo chiamati come cristiani a diventare strumenti. Egli è amore, uno in tre persone, ineffabile unità ed inesauribile comunione. È solo nella misura in cui rimaniamo in lui, e cioè nell’amore, che possiamo realizzare quest’unità, nel rispetto delle differenze e per il maggior bene di tutti. In un prossimo articolo si tratteggerà lo stile di vita cristiana atto a realizzare il modello di Chiesa promosso dal Concilio: la spiritualità di comunione che il papa Giovanni Paolo II ha proposto a tutta la Chiesa all’alba del terzo millennio. COMUNIONE, IDEA FONDAMENTALE Dalla relazione finale del Sinodo dei vescovi del 1986. L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio. (…) Che cosa significa la complessa parola comunione? Si tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Questa comunione si ha nella Parola di Dio e nei sacramenti. Il battesimo è la porta ed il fondamento della comunione nella Chiesa. L’eucaristia è la fonte ed il culmine di tutta la vita cristiana (cf. LG 11). La comunione del corpo eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica l’intima comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa (cf. 1 Cor 10, 16). (…) Tutta l’ecclesiologia di comunione è anche fondamento per l’ordine nella Chiesa e soprattutto per una corretta relazione tra unità e pluriformità nella Chiesa. AD IMMAGINE DELLA TRINITÀ Benedetto XVI, omelia per l’udienza del 29 marzo 2006. Nel corso dei secoli la Chiesa, organicamente strutturata sotto la guida dei legittimi pastori, ha continuato a vivere nel mondo come mistero di comunione, nel quale si rispecchia in qualche misura la stessa comunione trinitaria, il mistero di Dio stesso (…). Nel Vangelo di Giovanni la comunione d’amore che lega il Figlio al Padre e agli uomini è al tempo stesso il modello e la sorgente della comunione fraterna, che deve unire i discepoli fra loro. (…) Questa vita di comunione con Dio e fra noi è la finalità propria dell’annuncio del Vangelo. Di fronte alle frammentazioni e ai conflitti che affliggono le relazioni fra i singoli, i gruppi e i popoli interi la comunione è il rimedio donatoci dal Signore contro la solitudine che oggi minaccia tutti, il dono prezioso che ci fa sentire accolti e amati in Dio, nell’unità del suo Popolo radunato nel nome della Trinità; è la luce che fa risplendere la Chiesa come segno innalzato fra i popoli.