Per non tradire la professione

L’assassinio di Anna Politkovskaja, avvenuto lo scorso 7 ottobre sulla soglia della sua casa a Mosca, ha scosso profondamente la classe giornalistica russa. Rappresentava quella categoria di giornalisti che fa del proprio lavoro una missione, credendo che la verità dei fatti può e deve avere la meglio sulle situazioni di ingiustizia. La conoscevo di persona. L’ultima volta in cui ci siamo incontrati, le avevo chiesto se non era frustrante vedere la poca incidenza sull’opinione pubblica dei suoi articoli, che richiedevano moltissimo lavoro e spesso mettevano a rischio la sua vita. Mi ha risposto con un deciso no, sottolineando l’importanza di dare alla gente una possibilità di conoscere la verità. E poi, le autorità che hanno colpe in quello che sta succedendo, sicuramente li leggono. Parlava con una voce tranquilla, a tratti non priva di emozione e con la convinzione di chi conosce bene l’argomento. Le avevo chiesto una intervista sul tema della Cecenia, riconoscendole una indiscussa autorevolezza in materia, non solo perché ci si recava spesso, ma anche perché la gente di quella terra tormentata aveva imparato a distinguere le persone con cui si poteva confidare. Erano tanti i casi di vittime di ingiustizie, parenti di giovani scomparsi, madri disperate, che accettavano di raccontare alla Politkovskaja quello che avevano passato, con date e nomi, sapendo i rischi che correvano quando la loro storia appariva sulle pagine della Novaja Gazeta. Anna aveva una impressione molto negativa sulla nuova classe dirigente cecena, appoggiata dal Cremlino in modo molto deciso, con lo scopo di tenere quel territorio sotto controllo. I fatti raccolti sulle brutalità commesse dalle Forze di sicurezza del presidente, comandate da Ramzan Kadyrov, facevano capire che la violenza aveva messo radici in Cecenia da lunghi anni. Era ancora dedicato ai kadyrovtsy – così sono conosciute le milizie che dipendono dal nuovo uomo forte della Cecenia – l’ultimo materiale che Anna Politkovskaja non è riuscita a concludere. Questo esercito – mi diceva – è stato fatto in gran parte da guerriglieri amnistiati, e spesso sono finiti lì quelli senza più una coscienza. La Novaja Gazeta esce due volte alla settimana, molto spesso pubblicando i risultati di inchieste giornalistiche non gradite alla classe dirigente russa. La tiratura di circa 300 mila copie non rappresenta in Russia un peso significativo nell’opinione pubblica. Questa è determinata soprattutto dalla televisione nazionale, la quale è controllata in forma indiretta, ma molto concreta, dal Cremlino. Avere giornali che manifestano contro la politica del governo serve anche per far vedere che in Russia non esiste censura. Anna Politkovskaja esprimeva una certa delusione per come il popolo reagiva, o meglio, non reagiva, a certe pubblicazioni. Abbiamo pubblicato una serie di articoli sugli abusi commessi sui detenuti nella prigione di Ciornokozoe (Cecenia), avevamo fotografie e un film. Il caso della prigione irachena (Abu Graib) ha fatto scandalo negli Stati Uniti, ma da noi nessun canale televisivo ci ha chiesto il materiale e noi abbiamo dovuto chiedere alla Procura generale che accettasse le prove che avevamo. Ma tutto è caduto nel silenzio totale. Eppure la Politkovskaja credeva possibile offrire un contributo per formare la coscienza dei cittadini. Nei giorni precedenti il nostro incontro, un tribunale aveva dichiarato innocenti alcuni ufficiali accusati di avere ucciso sei civili ceceni. I fatti erano irrefutabili, e la decisione della giuria si presentava del tutto illogica. Dopo un verdetto del genere, tanti rimangono scioccati, e questo è un momento molto importante per la nostra società , commentava Anna. Secondo lei Putin sfruttava alcune idee popolari tra i russi che sono sempre pronti a dichiarare innocente un loro ufficiale. Era convinta che la conoscenza di fatti sconvolgenti deve portarci a riflettere e a prendere posizione. Finché non avviene questo impatto – diceva -, la società vive come in una palude. Anna Politkovskaja ha ammesso varie volte di aver avuto paura, sia in Cecenia, sia quando è entrata nel teatro della Dubrovka, a Mosca, dove un comando ceceno teneva 800 ostaggi. Ha ricevuto minacce serie che l’hanno costretta anche ad allontanarsi dalla Russia per un certo periodo. È stata arrestata in Cecenia ed ha sofferto un tentativo di avvelenamento. Nella sua ultima intervista a Radio Svoboda (Libertà), la Politkovskaja ha affermato che sono in corso tre processi contro abusi commessi dai kadyrovtsy, basati su materiale raccolto dalla Novaja Gazeta. In uno di questi, riguardante rapimenti, lei doveva testimoniare di persona. Sarà certamente difficile trovare chi stava dietro al killer che ha premuto il grilletto, ma pochi possono avere dubbi sul fatto che la vera causa sta nella sua lotta senza compromessi contro le ingiustizie e gli abusi dei potenti. ANNA POLITKOVSKAJA è nata nel 1958 negli Stati Uniti, quando i suoi genitori lavoravano nell’ambasciata dell’Urss. Si è laureata nella Facoltà di giornalismo dell’Università statale di Mosca nel 1980. Ha lavorato nel giornale Izvestija dal 1982 fino al 1993. Nel 1994 è passata alla Obsaja Gazeta, uno dei simboli dei giornalismo della Russia postsovietica, ormai chiusa. Dal 1999, la Politkovskaja lavorava nella Novaja Gazeta. Il suo ingresso in questo giornale ha coinciso con l’inizio della seconda guerra in Cecenia ed il suo lavoro è stato fortemente legato agli avvenimenti in questa Repubblica. Nel 2000 ha ricevuto il premio Penna d’Oro della Russia, il più importante riconoscimento giornalistico del suo Paese, per i suoi reportage sulla Cecenia. L’anno successivo ha ricevuto negli Stati Uniti il premio Artyom Borovik, istituito da alcuni media del Nord America.

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