Per non dimenticarti

Mariantonia, 40 anni, figlia di Pupi Avati, anche lei regista. In questo suo esordio non si è ispirata allo stile del padre. Ha puntato sulla recitazione e sui primi piani, guardando al neorealismo. E le ha fatto piacere ricevere il premio del Festival Magna Graecia da una giuria di cineasti da lei ammirati. La storia si ispira ad una vicenda, che Mariantonia ha vissuto personalmente in un reparto di maternità, accanto ad una decina di altre mamme in attesa. L’ha ambientata quasi esclusivamente, negli interni della clinica, in una Roma che cominciava a riprendersi dalla guerra. Ha preferito questo sfondo, giudicandolo più idoneo alla trepidazione di quelle partorienti, nelle incertezze dell’economia e dell’assistenza medica di quegli anni. L’intenso universo femminile mostrato è assai vivo. Ne sono descritte, con delicatezza, sfumature varie, dovute a diversità di approcci alla gravidanza e di legami con i parenti. Sono evidenziati i tratti popolari, anche duri, delle donne, ma ci sono pure momenti di altruismo sincero. Colpisce, in particolare, il legame di solidarietà che le unisce, mentre sono prese dall’esperienza forte della maternità, dai timori per i rischi e dalle immancabili sollecitudini familiari. Il loro rapporto, per un momento, assume una tonalità sottile e poetica, quando esse contemplano dalle finestre una nevicata notturna a larghe falde. Ci sono, però, anche momenti dolorosi senza consolazioni, come la cupa presentazione di una donna, che ha abortito clandestinamente e che rifiuta di parlarne con chiunque. E come la morte del neonato prematuro della protagonista stessa, che rimane preda di sensi di colpa. Una raccolta di esperienze varie del parto, un’opera prima ambiziosa che, nel complesso, dimostra serietà e capacità introspettive. Regia di Mariantonia Avati; con Anita Caprioli, Ettore Bassi.

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