Per non dimenticare Varsavia
Nessuna guerra è un fatto logico in sé, anche se quasi sempre non è difficile determinarne le cause, farla discendere come conseguenza di certe premesse. Pure dell’ultimo conflitto mondiale, quasi certamente il più devastante di tutta la storia dell’umanità, si è cercato di risalire alle cause, di ricostruire fatti, antefatti e conseguenze con minuzia di particolari, sì che non è difficile sostenere che esso è certamente lo squarcio di storia più documentato. Peccato che rappresenti uno squarcio di pura follia. Gli anniversari che sono stati commemorati quest’anno, sono quelli che ricorrono a 60 anni dal 1944, anno cruciale per quel conflitto. L’Italia arresasi ormai da diversi mesi, era percorsa dal fronte dei combattimenti che risaliva lentamente la penisola; Roma era stata liberata il 4 giugno. Due giorni dopo si era verificato lo sbarco alleato in Normandia. Quello stesso mese sul fronte orientale l’Armata Rossa si affacciava sulla Vistola. Nelle regioni della Polonia già liberate, in spregio agli accordi i sovietici stavano organizzando un esercito polacco comunista. Era indispensabile – ritenevano i polacchi che operavano in patria nella clandestinità, nonché il loro governo in esilio a Londra – fare trovare alle armate sovietiche in avanzata una capitale che fosse stata già liberata dai polacchi stessi, in modo da garantire alla nazione una certa indipendenza rispetto ai nuovi occupanti. Varsavia aveva conosciuto nel ’43 la distruzione del ghetto. Sul suolo polacco i nazisti avevano allestito i più importanti campi di sterminio. Le divisioni corazzate tedesche occupavano ancora in forze il territorio. E tuttavia la resistenza polacca in clandestinità era ben organizzata e aspettava l’ordine di venire allo scoperto. Quando le cannonate sovietiche raggiunsero i sobborghi orientali di Varsavia, parve a tutti che quel momento fosse giunto. Mancava solo l’assenso degli alleati, che inspiegabilmente tardava, e che non arrivò. L’insurrezione preparata per la fine di luglio fu rinviata per qualche giorno, ma il primo agosto esplose. Ci si aspettava ovviamente che i russi, raggiunta la Vistola, collaborassero; ma ciò non fu. Non si poteva più tornare indietro ed i polacchi insorti dovettero affrontare da soli, con pochi mezzi, la reazione furiosa dei tedeschi. L’eroismo e la disperazione supplirono alla mancanza di armamenti e la battaglia casa per casa, che con quella disparità di forze non era prevedibile potesse durare più di una settimana, divampò per due mesi. Mentre le città della Germania venivano distrutte dai bombardamenti alleati, Hitler si prendeva così la soddisfazione di radere al suolo lui pure una grande città:Varsavia. Tuttavia l’eroismo dei polacchi fu tale che i tedeschi stessi lo riconobbero, accettando di trattare la resa con gli ufficiali polacchi; e tributarono ai vinti l’onore delle armi. Restava, e resta tuttora da capire il comportamento degli alleati che nulla fecero per evitare un così tragico epilogo. Che se il comportamento dei sovietici non fu giustificabile ma comprensibile, perché non volevano avere a che fare con una Polonia libera, bensì con un paese prostrato, quello degli inglesi venne ritenuto un vero e proprio tradimento. Il fatto si è – oggi tutti lo riconoscono – che la Polonia fu venduta ancora una volta. Perché nella spartizione dell’Europa era già stata assegnata alla zona d’influenza sovietica. Si vedrà in seguito cosa ciò significherà per tutti quei paesi occupati dall’Armata Rossa, che, come la Polonia, persero la libertà. Ciò spiega anche il grande silenzio di cui questo olocausto fu in seguito circondato, mentre esso fu in assoluto fra i fatti d’arme più sanguinosi dell’intero conflitto, potendosi calcolare che le vittime furono più di 200 mila e che, nelle sole prime 24 ore i morti non furono meno di quelli che nel primo giorno dello sbarco caddero sulle spiagge della Normandia. Oggi di questi fatti, dei quali i maggiori responsabili sono scomparsi da tempo, si può parlare con più obiettività, quanto meno per onorare la verità. Non fu certo un paese in ginocchio, infatti, quello che i sovietici occuparono e tennero soggetto per mezzo secolo. Che anzi fu il primo a tener loro testa. Ma la Varsavia che visitiamo con ammirazione non è che la ricostruzione fedele, pietra su pietra, di quel gioiello che andò in polvere nei mesi di agosto e settembre del ’44. Capitolati gli insorti il 3 ottobre, i russi attesero ancora fino al dicembre per avanzare e liberare – tragico eufemismo! – una città che non poteva essere liberata perché non c’era più. Purtroppo, questa frettolosa cronaca non può rendere giustizia a siffatti avvenimenti.Volumi di testimonianze raccolte possono appagare gli studiosi. Restano e volano alte le pagine con cui alcuni grandi, come Mil/osz e Herbert, hanno potuto parlare di quei giorni, sì che Brodskij potrà aggiungere che siffatti poeti rendono tollerabile la storia. Pure questa tristissima pagina dimenticata. Viene da chiedersi se esista oggi non solo nelle sudate carte che preparano la Costituzione europea, ma nelle coscienze, un pensiero politico condiviso, capace di esorcizzare veramente questi fantasmi. Si direbbe di no se i nostri dissensi li abbiamo trasferiti in gran parte fuori dell’Europa, dove ci presentiamo più divisi e contrapposti che mai, secondo logiche di supremazia ancora ottocentesche, incapaci di esprimere una politica estera comune. Anche per questo non vogliamo dimenticare Varsavia.