Per i mujahedin il regime iraniano è isolato e debole 

I mujahedin del popolo sono il gruppo di opposizione politica più numeroso e attivo in Iran ma anche all’estero, fra la numerosa diaspora iraniana. La presidente della coalizione promossa dai mujahedin, il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, è dal 1993 Maryam Qajar-Azodanlu Rajavi.
Ritratto della leader dei mujahedin del popolo iraniano, Maryam Rajavi, in un raduno del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NWRI) che accoglie con favore la chiusura dei tre consolati iraniani in Germania, Berlino, 31 ottobre 2024. Foto: EPA/FILIP SINGER via Ansa

Pochi giorni fa, sabato 18 gennaio, davanti alla Corte Suprema di Teheran, un uomo, un dipendente del Ministero della Giustizia, ha sparato contro un gruppo di magistrati: due giudici sono morti ed un’altra persona è stata ferita. Poi, senza esitazione, ha rivolto l’arma contro sé stesso e si è suicidato. 

Non sappiamo il nome del “colpevole”, ma sappiamo chi erano i due giudici uccisi: Mohammad Moghiseh e Ali Razini. Moghiseh era responsabile del massacro di centinaia di prigionieri politici, oltre ad aver condannato a pesanti pene carcerarie diversi leader baha’i e politici riformisti, numerosi attivisti, registi e artisti, per il solo fatto di non essere ritenuti “allineati” col regime. Razini, negli anni ottanta fu incaricato di giudicare i mojahedin ribelli e in seguito ha condannato a morte migliaia di oppositori e dissidenti.

Così ha commentato l’uccisione dei due giudici Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace 2003, che dal 2009 vive in esilio a Londra per sfuggire a un mandato di cattura: «Il loro omicidio oggi è il risultato di comportamenti, procedure e repressioni del sistema giudiziario. Ciò che il vento semina, la tempesta raccoglie». Da parte sua, il portavoce della magistratura iraniana, Asghar Jahangir, dopo l’attentato ha dichiarato, come da consolidato copione: «La magistratura iraniana ha intrapreso azioni a tutto campo per identificare e arrestare i mercenari e le spie del regime sionista, (i membri) dell’organizzazione dissidente Mujahedin Khalq e anche i loro elementi infiltrati». 

In realtà non sappiamo se l’ignoto “colpevole” dell’attentato di Teheran del 18 gennaio fosse un adepto dei mujahedin del popolo, o “semplicemente” un iraniano disgustato dall’oppressione del regime, che magari aveva subito la perdita di una persona cara condannata dai giudici. 

Sionisti a parte (moltissimi dissidenti sono accusati dal regime di essere spie del “nemico sionista”), il riferimento di Jahangir ci interpella: chi sono i mujahedin? Sono il gruppo di opposizione politica (evidentemente clandestino) più numeroso e attivo in Iran, fondato nel 1965 per opporsi al regime dell’ultimo shah Pahlavi, e dal 1979 a quello degli ayatollah. I mujahedin sono iraniani di orientamento repubblicano-democratico, ma anche per lo più musulmani, evidentemente non fondamentalisti.

In Iran, i mujahedin e i loro “infiltrati” (come li designa Jahangir) vivono in clandestinità correndo enormi rischi, ma sono ben presenti anche all’estero, nella numerosa diaspora iraniana (circa 4 milioni di persone), accanto ad altre organizzazioni del dissenso, come per esempio quella dei monarchici, sostenitori della dinastia Pahlavi.

Dal 1981, i mujahedin hanno promosso la fondazione del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (Ncri), una coalizione all’estero di organizzazioni e gruppi politici dissidenti. «Il Cnri – si legge anche in italiano sul sito ncr-iran.org – è composto da più di 500 membri, inclusi rappresentanti di diverse minoranze etniche e religiose, tra cui curdi, baluci, armeni, ebrei, cristiani e zoroastri, rappresentanti all’estero delle tendenze politiche in Iran. Più della metà dei membri del Cnri sono donne. Agendo come Parlamento in esilio il Cnri ha lo scopo di formare un governo di coalizione democratico e secolare, in Iran». Dal 1993, alla presidenza del Cnri è stata eletta l’ingegnere Maryam Rajavi, moglie dello storico leader mujahedin Massoud Rajavi, scomparso in Iraq nel 2003. 

Proprio sabato 11 gennaio, una settimana prima dell’attentato ai due giudici, si è svolta a Parigi una conferenza, promossa dal Cnri, aperta a leader politici e militari occidentali (era presente anche l’ex Segretario di Stato americano Mike Pompeo). Il tema: “Nuova politica sul regime iraniano: sostenere la resistenza organizzata”. Maryam Rajavi ha aperto i lavori di Parigi affermando: «Il sistema teocratico che governa l’Iran è al suo punto di massimo isolamento e debolezza». Ed ha proseguito spiegando i fattori principali che a suo avviso stanno spingendo il regime verso il collasso: la brutale repressione (nel 2024 il regime ha eseguito almeno mille condanne a morte), una crisi economica senza precedenti (inflazione al 40%), le sconfitte nella regione (soprattutto in Libano e Siria) e la crescente forza della resistenza organizzata (che sostiene scioperi e proteste in Iran, ed è attiva nella diaspora). Ed ha aggiunto: «Il boicottaggio del 90% alle elezioni dello scorso anno ha dimostrato che il popolo iraniano rifiuta completamente il regime e la sua legittimità».

Con l’insediamento alla Casa Bianca della seconda presidenza Trump, molti si chiedono quale orientamento guiderà la politica estera a stelle e strisce nei confronti del regime iraniano. Dopo la violenta opposizione ai tempi della prima presidenza, culminata nell’uccisione il 3 gennaio 2020 del generale Qasem Soleimani per ordine diretto di Trump, e il recente rafforzamento dell’alleanza russo-iraniana, la nomina di Michael Di Mino (un ex analista militare della Cia) come funzionario del Pentagono per la politica in Medio Oriente, lascerebbe presagire sviluppi più diplomatici nelle relazioni Washington-Teheran, se non l’uscita di scena statunitense dall’area, temuta da molti ambienti filo-israeliani.

Claudio Fontana, in un editoriale pubblicato da Oasiscenter, delinea la questione, accompagnandola con una sintetica e lucida analisi della situazione iraniana degli ultimi anni. Utile anche per comprendere la situazione dopo il collasso della cosiddetta Mezzaluna sciita.

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