Per fortuna Sgarbi non ci tocca
Il pubblico non ha premiato il programma del critico. Serve una riflessione sulla linea editoriale del servizio pubblico
Doveva essere un programma veloce, scattante, in grado di tenere incollati i telespettatori in prima serata su Rai Uno. È stato invece un programma velocissimo, chiuso dopo una sola puntata: difficile recensire un programma come Ci tocca anche Sgarbi, tutto costruito sull’improvvisato anchorman.
La stampa lo aveva presentato come “sperimentale”, ma il 18 maggio non si è visto proprio niente, se non immagini di repertorio celebrative del conduttore-politico, ospiti senza un perché e uno sfoggio di erudizione dell’autore-protagonista che è passato da un argomento all’altro senza agganci narrativi, ma soltanto provocando, giudicando, urlando e impossessandosi di uno spazio per scopi propri che nulla hanno a che vedere con il servizio pubblico.
E forse è proprio questo l’aspetto più inquietante e deteriore del programma. Gli italiani comunque hanno risposto cambiando canale, probabilmente stufi di tutti coloro che, dietro compensi milionari, si permettono di fare la morale alla gente entrando nelle loro case senza aver lavorato, usando turpiloquio e ipocrisia mediatica, spacciandoli per cultura. Non sarebbe forse necessario fermarsi un attimo, e tentare di recuperare l’obiettivo di una direzione editoriale che sia di vero servizio pubblico? Sgarbi ha sbagliato e con lui l’azienda che lo ha sostenuto, purtroppo scaricando su noi contribuenti il costo dell’operazione. Questo tonfo di Raiuno potrebbe essere l’occasione di una riflessione più approfondita su cosa realmente gli italiani desiderino vedere.