Per fortuna ero senza chiavi
Rincaso dall’ufficio un po’ prima del previsto. Comincia a piovere a dirotto, tanto che l’ombrello che ho con me servirebbe a poco. Ma davanti al portone mi aspetta una spiacevole sorpresa: le chiavi… dove saranno finite le chiavi? Cerco frettolosamente addosso, nelle varie tasche del soprabito, poi nella borsa. Niente! Suono ripetutamente il citofono. Silenzio. Nessuno in casa. Ora che ci penso, a quest’ora Laura dev’essere in palestra. Prima di suonare al citofono di qualche altro inquilino per farmi aprire, provo a spingere il portone: per fortuna lo trovo aperto. Ciò che altre volte deploravo, quando per inavvertenza qualcuno dimenticava di chiuderlo, stavolta torna a mio vantaggio. Così almeno, nell’attesa che torni mia moglie, non mi bagnerò. Salgo le scale, sgrondando l’ombrello, fino al pianerottolo dove abito; mi siedo sul poggiolo della vetrata che dà sul cortile interno… e aspetto. È così banale l’imprevisto capitatomi che non vale la pena prendermela più di tanto. Peccato non aver niente da leggere con me, solo carte relative al lavoro che non è certo il caso di riprendere in mano a fine giornata. E poi, leggere con questa luce fioca… già, quante volte abbiamo fatto presente nelle riunioni di condominio che sarebbe opportuna una illuminazione più intensa? Comunque, ora la trovo quasi riposante. A proposito, potrei chiamare Laura col cellulare e chiederle di sbrigarsi… ma per quanto lo cerchi, non trovo neanche quello. Dove avevo la testa stamattina? Meglio farci su una risata, prendersela con filosofia… Però, a pensarci bene: ecco il perché della sensazione, oggi, di insolita libertà e leggerezza. Nessuna chiamata, nessun sms. Conclusione: mi ritrovo completamente isolato. Non posso entrare nel mio appartamento, dove mi dedicherei a tante faccende “utili”; e neppure uscire a fare due passi, con questa pioggia torrenziale. Per di più sono impossibilitato a comunicare con gli altri via telefono. Potrei però… frugando prima nelle tasche, m’era capitata fra le mani la coroncina del rosario. Già ne ho recitato uno stamane, nel bus affollato, ma dirne un altro non farà certo male. E col tempo che ho a disposizione, potrò farlo meno frettolosamente e distrattamente. Così comincio, cercando di considerare bene i misteri, di concentrarmi sul presente. Odo solo lo scroscio della pioggia oltre la vetrata e di tanto in tanto, ovattate, voci di persone e squilli di telefono, a indicare che nonostante le apparenze c’è una vita, ci sono delle presenze al di là di queste pareti. Mentre sono intento alla preghiera mi vengono in mente gli inquilini di questo condominio, in buona parte persone anziane che escono di rado e di rado ricevono visite (ecco spiegata l’assenza di andirivieni di persone per queste scale). Con loro ho così poca familiarità… Cosa fanno durante il giorno? Quali ansie, insoddisfazioni, gioie fanno da contrappunto al trascorrere della loro vita? Nei venti “quadri” che compongono il rosario è condensato tutto il divino e anche tutto l’umano… Il rosario, dice il papa, “batte il ritmo della vita umana”: la mia, quella di tutti. Anche dei miei coinquilini, per i quali posso ora pregare. Nel succedersi tranquillo e rilassante delle Ave Maria, pian piano le scorie della giornata si decantano e mi sembra di veder più chiaro, e con distacco, come da un osservatorio diverso dal solito, i fatti della giornata. Mi sento amato, protetto. Una gran pace mi invade. Passano così, fra rosari e preghiera spontanea, due ore senza che me ne accorga. Per ritrovarmi – piacevole costatazione – rigenerato nello spirito ed anche fisicamente in forma. Un rumore giù al portone mi riscuote. Poi un ticchettio familiare di passi… Laura è rientrata e si è fermata davanti all’ascensore. Mi alzo per affacciarmi alla tromba delle scale, da cui posso scorgerla senza che lei mi veda. “Laura!…”, chiamo piano da dove mi trovo per non rischiare di spaventarla, apparendole all’improvviso davanti. Sono contento che sia tornata: per lei, e non tanto perché l’attesa è finita.