Pep Guardiola lascia da vincitore
«Ho vissuto nel mondo del calcio per tanti anni, da calciatore e da allenatore, ma nella vita non c’è soltanto il pallone: la vita offre tante altre cose». La forza di Josep “Pep” Guardiola, allenatore simbolo della squadra simbolo del Barça, sta anche in questo: saper rinunciare alla “gloria” del pallone per “chiamare time-out” e tornare per un po’ alla vita normale. Perché lui, il tecnico da record del Barcellona dei record, è una persona normale. Uno di noi, verrebbe da dire, se non fosse per il suo stipendio (10 milioni di euro lordi a stagione), non certo nella norma. Lui, però, è rimasto fedele ai suoi principi e alle sue radici. «Non ho bisogno di andare ad allenare all’estero per mettermi alla prova – ha risposto a chi gli chiedeva se fosse pronto a una nuova avventura lontano dalla Spagna -: per una persona che, come me, è nata a sessanta chilometri da qui, non c’è prova più grande che quella di allenare il Barcellona».
Prova superata a pieni voti. In quattro anni, infatti, il Barça di Guardiola ha vinto tutto quello che c’era da vincere, in Spagna (tre campionati di Primera División, una Coppa del Re e tre edizioni della Supercoppa) e all’estero (due Champions League, due edizioni della Coppa del mondo per club e altrettante della Supercoppa europea): tredici trofei in totale, che potranno diventare quattordici se, il prossimo 25 maggio, Messi e compagni batteranno l’Athletic Bilbao nella finale di Coppa del Re. Un bottino impensabile, se si considera che in precedenza Guardiola aveva allenato solamente il Barcellona B, la seconda squadra del club catalano.
«Certo – sottolineano i suoi detrattori (categoria che purtroppo non manca mai) -, facile vincere quando in squadra hai gente come Messi, Iniesta, Xavi, Fabregas, Dani Alves e chi più ne ha più ne metta». Verissimo, ma oltre alle qualità tecniche dei singoli, questo Barça ha incantato anche per organizzazione di gioco, impronta fornitagli in primo luogo dal suo tecnico.
Un’avventura, quella di Guardiola sulla panchina dei blaugrana, che si concluderà proprio il 25 maggio. Lo ha comunicato ufficialmente lo stesso tecnico catalano nel corso di una conferenza stampa, alla quale hanno partecipato anche i massimi vertici del Barcellona e diversi suoi giocatori (ma non Messi, dettosi «troppo emozionato» per essere presente), convocata tre giorni dopo la cocente (e clamorosa) eliminazione dalla Champions League ad opera del Chelsea. La decisione, però, era maturata già da tempo.
«Quattro anni qui sono un’eternità», ha rimarcato “Pep”, evidentemente stanco di sottoporsi alle continue pressioni che quel ruolo richiede. Pressioni che, va detto, ha saputo gestire con grande stile. Educato, gentile, colto (parla correttamente quattro lingue: spagnolo, catalano, inglese e italiano), Guardiola non ha mai ceduto alle provocazioni del collega José Mourinho (giunto due anni fa sulla panchina del Real Madrid), rispondendogli il più delle volte sul campo.
Quel campo sul quale si era esibito da protagonista, leader della linea mediana del Barça campione d'Europa '92 (Guardiola è uno dei sei professionisti del pallone ad aver vinto la massima competizione continentale sia da giocatore che da allenatore) e anche di quella del Brescia, con Roberto Baggio davanti e Carletto Mazzone in panchina. L’esperienza con la maglia delle Rondinelle fu una delle ultime come giocatore e, forse, una delle prime come tecnico: a quei tempi, infatti, “Pep” era già un allenatore in campo. Così, quando nel 2009 il Barça conquistò (e vinse) la finale di Champions League in programma a Roma, Guardiola si ricordò del vecchio maestro Mazzone, invitandolo all’Olimpico ad assistere alla partita. Proprio vero: “Pep” non dimentica mai le sue radici.