Pendolari (quasi) abbandonati

Cifre irrisorie sono state destinate negli ultimi anni al trasporto ferroviario per chi deve recarsi al lavoro. Si gioca allo scaricabarile…  
Treni pendolari

«Senza soldi non si canta messa», con questa espressione popolare molto comprensibile Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Spa ha più volte fatto capire, in questi ultimi anni, di conoscere molto bene il problema della mancanza dei treni per i pendolari, ma che non può farci nulla perché la piena responsabilità del servizio ferroviario locale è, ormai dal 2000, delle Regioni e non della sua società, che si limita a prestare un servizio regolamentato da un contratto.

 

La polemica in atto tra governo e regioni non è perciò materia di astratta polemica tra partiti, ma riguarda la vita concreta di milioni di persone. Le stesse che attendono invano il treno soppresso o in ritardo e viaggiano in vagoni sovraffollati nelle ore di punta. Esistono comitati di pendolari coscienziosi che sanno elaborare, con molta competenza, piani di sviluppo efficaci e soluzioni virtuose di nodi storicamente problematici delle Ferrovie italiane, ma l’insieme dei viaggiatori è una categoria troppo ampia e variabile per incidere in maniera efficace e costante. Senza contare la difficoltà di dimostrare di rappresentare un numero certo di cittadini. C’è l’elenco di firme di qualche istanza che non è tuttavia una delega di mandato. Cresce, inoltre, anche lo scetticismo dell’utilità di tante richieste che sembrano senza risposta. D’altra parte, basta passare dai binari degli interregionali a quelli scintillanti dell’alta velocità per capire come il concetto di cliente possa variare profondamente di significato.   

 

Come dice Roberto Formigoni, governatore della Lombardia al terzo mandato, senza stanziamenti di fondi non si possono gestire delle deleghe come il governo del trasporto regionale. Per capire questa affermazione si può andare a rileggere l’ultimo ponderoso studio di Legambiente dedicato alla questione. Si chiama Pendolaria 2009 e documenta in prima battuta l’abbandono del piano di acquisto di mille nuovi treni entro il 2011, un investimento che aveva visto teoricamente concordi entrambe le parti politiche rappresentate in Parlamento. Sei miliardi di euro che sono stati destinati ad altri progetti. Un parco macchine, possiamo notare, di altissima tecnologia che potrebbe, da solo, avviare un adeguato piano di politica industriale che vuol dire anche crescita di una sana e “competitiva” occupazione. Solo che la francese Alstom, ad esempio, sta pensando seriamente di chiudere uno dei due stabilimenti italiani di produzione di carrozze ferroviarie che ha comprato dalla Fiat nel 2000. 

 

Sviluppare il traffico di persone e merci su rotaia è inoltre una priorità dal punto di vista ambientale. Non bisogna essere dei catastrofisti per convincersi come sia vantaggioso per tutti, dai lattanti ai nonni, diminuire l’emissione di Co2 nell’atmosfera e il trasporto su treno toglie dalla strada un bel numero di automobili che ne sono, in parte significativa, responsabili. Ma se una famiglia deve andare ad abitare in periferia perché il prezzo della casa in centro è diventato impossibile, deve pur trovare un modo per spostarsi e andare al lavoro. Sennonché i dati delle leggi finanziarie per il periodo 2002-2009 stanno a dimostrare come in tutta Europa l’Italia sia l’unico Paese che si sia distinto per aver finanziato con risorse pubbliche la costruzione di strade e autostrade in misura doppia (67 per cento) rispetto alle ferrovie nazionali e regionali. Se poi si passa all’analisi delle singole regioni si devono registrare casi estremi, secondo Legambiente, in cui nessuna risorsa è stata destinata per i cantieri ferroviari in Abruzzo, Calabria e Basilicata e l’un per cento (sì proprio 1 per cento) in Liguria, Sicilia, Friuli e Molise.

 

Se poi si vanno ad analizzare le spese che sono demandate alle regioni per quanto riguarda il servizio e l’acquisto dei treni per i pendolari, arriviamo a cifre dello zero virgola qualcosa come percentuale sul totale del bilancio regionale nel 2009. Solo la Campania arriva all’1, 52 per cento, con la Lombardia che raggiunge il secondo posto con lo 0,54 per cento, anche se complessivamente risulta la regione, assieme alla Toscana, che ha investito di più negli ultimi nove anni (900 milioni di euro). Molto bassa, per fare un esempio, la percentuale del Lazio (0,13 per cento) e completamente a zero la Sicilia, con il Veneto, regione tra le più ricche d’Europa, che ha impegnato per i treni pendolari appena lo 0,4 per cento. Che vuol dire 3,8 milioni di euro contro i 114 milioni stanziati per la sola Pedemontana Veneta.

 

Secondo Legambiente è evidente il diverso peso esercitato nelle scelte di bilancio dalle ragioni dei costruttori e concessionari di autostrade rispetto a servizi di pubblica utilità che, sembra, non riescono a ripagarsi con il prezzo dei biglietti. Una leva finanziaria potrebbe essere individuata in una percentuale minima di tassa sui carburanti in grado di alimentare un fondo nazionale per il trasporto locale.

 

La questione mette in gioco le reali priorità nella scelta di una politica dei trasporti. Che non è affatto una questione astratta. Ci sono 2 milioni e 700 mila passeggeri che ogni giorno compiono in media 24 km e che potrebbero crescere in maniera significativa se solo si disponesse di un servizio adeguato a beneficio di tutti. E invece il disagio cresce. C’è bisogno di una cura del “ferro” (inteso come binario, rotaia, carrozza ) senza il quale si diventa anemici. Si tratta di capire come trovare risorse da considerare investimenti e non solo voci di un bilancio da tagliare. Un bel compito che non si può sempre rimandare.

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