Pellegrinaggio in Africa. La carestia nello Zambia
Una città dalle dimensioni di Milano sta morendo di fame. Nell'indifferenza. Tappa nello Zambia del pellegrinaggio di carità AlimentiAMO la Speranza
Da noi, nel nostro opulento mondo occidentale, è qualcosa di inconcepibile. Distante anni luce dalla realtà contemporanea che ogni giorno viviamo. Una realtà, è bene non scordarsene mai, dove a regnare incontrastate sono due tipologie di economia: quella del superfluo e l’altra dello scarto. Nello Zambia, Paese dell’Africa meridionale esteso due volte e mezza l’Italia, ciò che in Occidente è incomprensibile, da loro è un’emergenza senza precedenti.
Immaginate la città di Milano con tutti i suoi abitanti. Si tratta di una moltitudine di persone pari a circa 1,35 milioni. Una cifra talmente gigantesca che si hanno difficoltà anche solo se si volesse mentalmente darle forma. Cosa accadrebbe a livello mediatico se tutti coloro che vivono in quella che un tempo veniva etichettata come la capitale morale del Belpaese fossero colpiti da una carestia di cibo? Indubbiamente il mondo intero ne parlerebbe e si innescherebbe, doverosamente, una catena di solidarietà che nel giro di pochi giorni arginerebbe il problema.
In terra zambiana, da diversi mesi a questa parte, si vive un’emergenza che solamente a prenderne atto si resta attoniti. Una città popolosa come Milano, a causa dei cambiamenti climatici sempre più estremi e invasivi, non ha cibo e dunque sta morendo. Lentamente ma inesorabilmente. Circa un milione e mezzo di innocenti su una popolazione complessiva di 19 milioni di persone. Si tratta del 13% degli abitanti totali dello Zambia. Numeri elevatissimi che farebbero rabbrividire chiunque, soprattutto gli attuali governanti della nostra Europa.
Sempre per fare un raffronto con l’Italia, il 13% della popolazione complessiva corrisponderebbe agli abitanti di Lazio e Calabria messi insieme. Numeri giganteschi, enormi, immani. E di questa cifra quasi priva di confini, oltre la metà è rappresentata da bambini.
Una moltitudine pressoché sterminata di innocenti che, nello Zambia, oltre che rischiare la vita in maniera purtroppo concreta, è costretta a non frequentare la scuola. Il motivo? I crampi allo stomaco che la fame provoca sono talmente forti da impedire qualsiasi tipo di attività. Questi fanciulli sono dunque costretti a rimanere a letto. Raggomitolati in sé stessi in specie di letti che tutto sono fuorché luoghi in cui ci si possa riposare e adagiare quando si sta poco bene. E l’entità numerica di questa moltitudine di bambini gela il sangue nelle vene: oltre 800 mila innocenti. Come tutta la città di Torino. Come se nella metropoli torinese non vivessero persone appartenenti a molteplici fasce di età ma esclusivamente fanciulli.
Provate per un attimo a immaginare i luoghi più significativi e affascinanti della città sabauda: da piazza Castello al parco del Valentino, dalla Mole Antonelliana a piazza Vittorio Veneto. Tentate di fissare nella vostra mente alcune immagini ben specifiche: a dare vita a queste perle immortali dell’incantevole Torino sono solo bambini. Tutti fanciulli emaciati, pelle e ossa, che implorano un pezzo di pane portandosi tutte le dita della mano in bocca affinché si comprenda ancor meglio che la fame li sta tormentando. Immaginate che le migliaia di strade piccole e grandi di Torino siano invase solo da bimbi che non si reggono in piedi in quanto i loro esili corpi, a causa della mancanza di cibo, non hanno forza. Sarebbero scene terrificanti, abominevoli, ributtanti che, se trasmesse in una sala cinematografica, darebbero un fortissimo pugno in faccia a tutti quegli spettatori che, comodamente seduti sulle poltrone in velluto, assistono alla messa in scena della pellicola.
Nel 1985, quando avevo 8 anni, uscì una canzone che fu una sorta di spartiacque nella storia della musica mondiale. We are the world rappresentò una pietra angolare che univa il talento di artisti di fama planetaria alla solidarietà. Da bambino credevo che l’Africa, e nello specifico l’Etiopia, stesse vivendo il proprio anno zero a causa di una carestia devastante che aveva provocato un milione di morti. Pensavo che da quel momento in poi lo stato delle cose, seppur gradualmente, sarebbe andato a migliorare. Oggi, con il senno di poi, dico che mi sbagliavo. Un quarantennio fa esisteva quella sensibilità della quale oggi sono rimaste solo le briciole.
Continuiamo a illuderci che oggi, anno 2023, ciò che sta vivendo lo Zambia e, con esso, altre decine di nazioni sparse principalmente tra il continente africano e quello asiatico, non sia di nostra competenza. Lo potremo fare sino a quando le strazianti urla di dolore di persone senza colpa alcuna saranno talmente forti da risultare impossibili da ignorare. Ma forse quando quello stato di cose sarà arrivato a compimento, si sarà giunti a un punto di non ritorno. Ineluttabile e gravido di conseguenze nefaste. Soprattutto per il nostro mondo occidentale vergognosamente opulento.
_
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
_