Pedro Sánchez vince ma non stravince

Il Partito socialista esce vincitore dalla tornata elettorale, mentre il Partito popolare arretra. Entra in parlamento l’estrema destra di Vox. Per fare un governo, ora, le cose non sono semplici

Pedro Sánchez potrà dire ora di essere entrato a dirigere il governo della Spagna dalla porta principale, e non dalla porta di servizio, come gli era stato rimproverato quando vinse la mozione di censura dieci mesi fa. Oltre 7,4 milioni di votanti hanno determinato la sua vittoria nelle elezioni anticipate di domenica 29 aprile, il che permette ai socialisti di situarsi come prima forza parlamentare con 123 seggi (38 in più di due anni fa), cioè il 35,14 dei 350 deputati eletti. Dietro i socialisti, la destra del Partito popolare con 66 deputati (ne perde 71), i liberali di Ciudadanos con 57 (salgono di 25), la sinistra di Podemos con 42 (ne perde 2) e la novità dell’estrema destra di Vox con 24 seggi, che per la prima volta entra a far parte de Las Cortes (la Camera dei deputati spagnola). Ecco le cinque principali forze politiche che ora inizieranno un lento processo per arrivare a patti per formare un governo, necessari perché la maggioranza assoluta è di 176 deputati, e la già sperimentata formula di “sommare” le varie quote parlamentari non sarà esercizio facile.

Un dato rilevante, che tutti hanno sottolineato, è l’alta partecipazione al voto, che ha raggiunto il 79,78%, quota superata solo in tre altre occasioni, e l’ultima volta nel 1996. Comunque sopra la media storica nel breve periodo democratico della Spagna (queste sono state le 13e elezioni generali dal 1979), che raggiunge il 73,79%. Di questo ultimo dato sono state fatte diverse letture: che sia stato un deciso sostegno alla cosiddetta “politica territoriale”, che comprende i rapporti con gli indipendentisti catalani? O forse le varie ma clamorose misure sociali che il governo di Sánchez ha messo in moto in dieci mesi hanno convinto tanti indecisi ad avvicinarsi alle urne? Alcuni parlano pure della paura all’avanzamento dell’estrema destra…

Gli accordi possibili non sono poi tanti. O Sánchez si scosta verso sinistra e negozia con Podemos e la tradizionale sinistra repubblicana della Catalogna (Erc), e con ciò raggiunge i 180 voti per essere investito presidente di nuovo, oppure si scosta verso destra e arriva a patti con Ciudadanos, e così arriva a sommare egualmente 180 voti. Nel primo caso ci sarebbe l’obiezione del movimento indipendentista catalano, al quale Erc ha contribuito in maniera palese. Ma a differenza dell’altra forza indipendentista, quella guidata dall’ex presidente catalano Puigdemont, l’Erc si è mostrata più coerente e dialogante con le regole democratiche stabilite. Basta pensare che, mentre Puigdemont uscì della Spagna dopo gli avvenimenti dell’1º ottobre 2017, Oriol Junqueras, presidente dell’Erc, decise di restare facendo fronte, insieme ad altri, alle proprie responsabilità penali. In fatti Junqueras è ora in prigione, in attesa della sentenza del processo in corso dal 12 febbraio. Più volte, e non solo in campagna elettorale, Sánchez ha affermato la volontà di trovare una soluzione al conflitto catalano che non passi necessariamente per la stretta legalità, ma appellando al dialogo.

L’altra possibilità, quella ci pattare con Ciudadanos, non sarebbe un’assoluta novità. Il fatto che il candidato di Podemos, Pablo Iglesias, in più occasioni abbia chiesto a Sánchez di manifestarsi al riguardo senza ottener una risposta, dice quanto sia possibile questa soluzione. Chi invece ha detto apertamente di non voler far patti con Sánchez è stato Albert Rivera, candidato di Ciudadanos. Sarà ora per lui il momento di fare i calcoli sulla propria carriera politica nel quadro del centro-destra e nel panorama nazionale (Rivera è catalano ed è da poco che ha fatto il salto alla politica nazionale), perché una volta che ha sorpassato il Pp, e con la destra divisa con l’entrata di Vox, potrebbe sognare di diventare in futuro il nuovo leader del centro-destra. Ma potrebbe anche collaborare con Sánchez nel ridisegnare i rapporti tra i diversi territori che compongono la Spagna, e così trovare una soluzione al conflitto catalano. È vero che per gli indipendentisti Rivera è il lupo di Cappuccetto rosso, ma della mano di Sánchez sembrerebbe meno cattivo.

Staremo a vedere. Tante cose che si dicono in campagna elettorale poi non vanno in porto. Altre invece si possono realizzare.

 

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