Pedofilia, dimessi tutti i vescovi cileni
Se qualcuno avrà voglia di arrampicarsi sugli specchi dei bizantinismi potrà anche sostenere che nella Chiesa qualsiasi incarico dipende dal papa, che può ritirarlo in qualsiasi momento, come peraltro avviene in molte istituzioni secolari. Ed è vero. Pertanto, il gesto dei vescovi cileni che venerdì scorso hanno presentato tutti la loro rinuncia, non sarebbe strettamente una novità. Ma il fatto che ciò accada in modo pubblico da parte di una intera Conferenza episcopale e dopo una serie di riunioni convocate dal papa per recuperare la «comunione ecclesiale», «la fiducia» e ricostruire verità per restaurare la giustizia e riparare i danni provocati in ordine al gravissimo caso di abusi sessuali occorsi in Cile, non può che essere considerato un doveroso gesto di dimissioni.
È pertanto inedito il gesto dell’episcopato cileno che ha così concluso una settimana di riunioni col papa, alla quale è stato convocato dopo il dossier presentato dall’inviato papale, monsignor Charles Scicluna, sulla questione degli abusi sessuali in Cile. Un gesto che ha fatto il giro del mondo.
Nelle 2.600 pagine presentare da Scicluna, sono emersi gli errori, le omissioni, le irregolarità e le gravi responsabilità nel modo in cui si la Chiesa cilena ha gestito il caso Karadima, ma anche il silenzio e gli ostacoli posti alle indagini, giungendo perfino a distruggere documenti compromettenti per gli accusati, e poi impedendo che a papa Bergoglio giungesse la corretta informazione in merito al caso. Emergono anche le responsabilità di coloro, anche vescovi, che, pur essendo al corrente della situazione, hanno taciuto e coperto i fatti.
Ma i problemi non provengono solo dal caso Karadima. Al papa è giunta informazione relativa ad errori e atti irresponsabili che hanno condotto alcuni presuli ad accettare nelle loro diocesi religiosi cacciati dalle loro istituzioni perché responsabili di abusi sessuali, affidando loro incarichi in contatto con minori d’età, casi di sacerdoti ai quali è stata affidata la conduzione di seminari pur sapendo della loro condotta omosessuale, mentre in vari casi le denunce venivano minimizzate, considerate inverosimili, quando non erano ricevute come una aggressione alla Chiesa.
In un documento diretto ai vescovi la settimana scorsa, che è filtrato fino a vari media, il papa elenca con dolore e vergogna tali situazioni. Segnala che sarà necessario provvedere alla rimozione di alcuni incarichi, ma indica anche che sarebbe un errore limitarsi a tale decisione senza andare alle radici del problema.
«Confessare il peccato è necessario, cercare di rimediare è urgente, conoscerne le radici è sapienza per il presente-futuro. Sarebbe una grave omissione da parte nostra non andare alle radici. Anzi, credere che solo limitarsi alla rimozione di persone possa rigenerare la salute del corpo è una grande bugia. Non ci sono dubbi che aiuti ed è necessario farlo, ma, ripeto, non è sufficiente… Sarebbe irresponsabile da parte nostra non avanzare nella ricerca delle radici e le strutture che hanno permesso che questi fatti concreti si verificassero e si perpetuassero».
Nello scritto, il papa condanna poi l’atteggiamento di alcuni vescovi che si sono limitati a rimuovere le persone senza affrontare il problema. E parla di atteggiamenti volti a «salvare sé stessi». Bergoglio addirittura sostiene che invece di affrontare il problema con misure adeguate, la Chiesa cilena ha perso parte della sua «ispirazione profetica» e si è ripiegata su sé stessa trasformando il suo peccato in un aspetto centrale. Pertanto, per il papa sarà necessario intervenire su tale aspetto che ha a che fare con la concezione ecclesiale e analizzare come alcune persone siano potute arrivare al sacerdozio, oltre a correggere storture.
Fatti estremamente gravi, dunque, che confermano non solo i sospetti di una concezione ecclesiale per niente vicina allo spirito del Vaticano II, ma anche le accuse delle vittime che durante anni sono state stigmatizzate (Scicluna parla di «vite crocificate»). A tali persone, i vescovi cileni si riferiscono quando affermano: «Grazie alle vittime per la loro perseveranza e il loro coraggio, nonostante le enormi difficoltà personali, spirituali, sociali e familiari che hanno dovuto affrontare molte volte tra gli attacchi della propria comunità ecclesiale. Ancora una volta imploriamo il loro perdono…».
La questione non riguarda solo la Chiesa cilena. Sono apparse condotte ricorrenti in vari Paesi che mettono in discussione non solo come sono affrontate questioni criminali di fronte alle quali salvare l’immagine non è certo la principale priorità, ma anche con quali criteri vengono coperti gli incarichi episcopali. Le decisioni del papa nei prossimi giorni, daranno indicazioni in merito alle sue intenzioni in questo doloroso, ma necessario, processo.