Paure e pregiudizi al tempo dei social

A partire da un evento la cui realtà o falsità diventa del tutto ininfluente rispetto agli effetti che produce, il testo “Il principio di Archimede” di Josep Maria Mirò, che apparentemente sembra parlare di un caso di pedofilia, ci parla in realtà della paura, dell’educazione, delle relazioni sociali, del tipo di società in cui vogliamo vivere. Allo Spazio Diamante di Roma

Va dato merito al regista Angelo Savelli l’aver portato, primo in Italia, e fatto conoscere un autore e regista di grande caratura qual è il catalano Josep Maria Mirò (classe 1997), tra i più interessanti nel suo Paese, ma anche in quota all’estero. Lo prova il fatto che i suoi testi sono tradotti e rappresentati in moltissime nazioni (l’elenco sarebbe lunghissimo). In particolare Il principio di Archimede, testo del 2012, che ha, all’interno di un argomento civile specifico – quello della pedofilia – diversi risvolti tematici oggi molto attuali: paura dell’altro, educazione genitori-figli, relazioni sociali, informazione e privacy, potere dei social, etica collettiva e morale individuale.

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In sintesi la vicenda ruota attorno a Jordi, gioviale ed estroverso nonché amato istruttore di nuoto di ragazzini, che si trova di colpo al centro di un sospetto caso di pedofilia. L’accusa proviene da una bambina che riferisce ai suoi genitori di averlo visto, durante la lezione di nuoto, baciare sulla bocca un suo piccolo allievo. La notizia dell’accaduto si diffonde subito allarmando i genitori dei figli che frequentano la piscina, già turbati da un caso di pedofilia verificatosi in una vicina ludoteca. In particolare, uno di essi, David, ossessionato dai tanti pericoli in cui può incorrere il figlio, farà irruzione nello spogliatoio della piscina con l’intenzione di minacciare l’allenatore.

Sottoposto alle pressanti domande di Anna, la direttrice della piscina che lo stima e lo conosce da anni (della quale scopriremo in seguito la sofferenza nascosta per la perdita di un figlio suicida a causa, probabilmente, di atti di bullismo), poi a quelle di Hector, suo amico e collega, il giovane tenterà inutilmente di spiegare il malinteso con la sua versione (un gesto affettuoso e un abbraccio per far vincere al bambino, che piangeva, la paura dell’acqua).

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Nell’ambiguità dell’interpretazione, della diffamazione che uccide, s’innesca così una psicosi collettiva, un clima di diffidenza, di pregiudizi e di paure, che sconvolgerà la vita di Jordi sottoposto, complice i social, anche alla gogna mediatica. Vera o falsa l’accusa? Non lo sapremo. L’autore non giudica, non prende posizione, non si lascia andare alla facile retorica. Illustra i fatti e le conseguenze che essi generano; tesse una drammaturgia nerbuta di stati d’animo, di psicologie e di comportamenti scaturiti da parole capaci di generare pensieri e azioni destabilizzanti; intesse sapientemente, nell’intreccio emotivo e psicologico delle relazioni interpersonali che man mano intercorrono tra i personaggi, un meccanismo di reazioni a catena che ci interpella costringendoci a riflettere su un tema così scottante, a farci domande scomode, ad assumere un nostro punto di vista.

Così è nella acuta messinscena che di questo testo ne ha fatto Angelo Savelli, che riesce a creare e mantenere sempre alta la tensione sia tra gli interpreti che nel pubblico. Disposti su due gradinate contrapposte, a pochi metri dagli attori che recitano al centro di una scena dove è ricreato minuziosamente lo spogliatoio degli istruttori di nuoto di una piscina con tanto di armadietti, panca, doccia, salvagenti e attrezzature varie, gli spettatori non possono anche fare a meno di sbirciarsi vicendevolmente durante la rappresentazione e osservare così il grado di attenzione e di emozione che quella vicinanza amplifica complice anche, per tutta la durata dello spettacolo, l’illuminazione piena al neon.

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Da sapiente regista teatrale quale è, Savelli movimenta la messinscena ricorrendo a una narrazione non cronologica dei dialoghi interrompendoli improvvisamente e facendoli riannodare con un salto temporale che sposta indietro e al presente gli eventi. S’inventa il rewind di un nastro magnetico di cui udiamo solo il rumore nei bruschi blackout. Si torna quindi posteriormente con le scene e ci si riallaccia al punto di vista di ciascun interprete riprendendo le ultime battute. Una cucitura da montaggio cinematografico che, permettendo una maggior comprensione dei personaggi, evidenzia la qualità di scrittura, asciutta e profonda, con scarti ironici, di Mirò, dove ogni battuta, ogni parola espressa non è casuale, e si carica di senso. Si riconosce, in questo espediente drammaturgico di Savelli, un lavoro doppiamente intenso per gli attori ai quali viene chiesto una concentrazione supplementare nel riprendere e mantenere lo stato emotivo della scena precedente per poi calarsi in quella successiva e riannodare il dialogo della cronaca. E sono davvero bravi i 4 interpreti, Giulio Maria Corso, Samuele Picchi, Monica Bauco, Riccardo Naldini, perfettamente appropriati nei ruoli e sintonizzati nel ritmo della recitazione e della resa corale. Ai primi due, rispettivamente Jordi e Hector, va riconosciuta una particolare intesa sulla scena che li rende fortemente credibili nella naturalezza della loro interpretazione, e una menzione particolare a Giulio Maria Corso, il protagonista della vicenda, che tratteggia con minuzia il mutare dei suoi stati d’animo. Fino alla paura crescente. Quella che attanaglia tutti indistintamente nel finale mentre s’ode il rumore dei vetri infranti dalle pietre lanciate dai bambini aizzati dai genitori fuori dalla piscina.

Savelli chiude la pièce con la violenta irruzione del padre del ragazzino intenzionato a picchiare con una sbarra di ferro l’istruttore, davanti agli altri due terrorizzati. Ma appena entrato, nell’atto di alzare il bastone si blocca lasciandolo cadere, in preda anch’egli alla paura per l’insano gesto che stava per compiere. La stessa paura che accomuna tutti e che, mentre cresce il frastuono delle sassate trasformato in un suono assordante, esprime atterrita la donna ripetendo ossessivamente: «Siamo tutti spaventati!». E la struggente Serenata di Franz Schubert, che giunge a coprire quelle parole mentre si spengono le luci, risuona come un manto di pietà che avvolge tutti.

 

“Il principio di Archimede”, di Josep Maria Miró
traduzione e regia Angelo Savelli
con Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini, Samuele Picchi
scene di Federico Biancalani, luci Alfredo Piras.
Produzione Pupi e Fresedde -Teatro di Rifredi Centro di Produzione
A Roma, Spazio Diamante, dal 7 al 10 marzo, e
dal 14 al 17 marzo.

 

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