Paura nel monastero di Mar Musa
Il 22 febbraio, alle 18,00, una trentina di uomini armati, tutti col volto coperto tranne il comandante, hanno fatto irruzione nello stazzo delle capre, detto “Sant’Antonio”, dove si trovavano alcuni impiegati del monastero. Tutto è stato messo a soqquadro per cercare «le armi e i soldi». Il capo pastore di Deir Mar Musa è stato obbligato a guidare un drappello dei nostri visitatori notturni fino al nuovo monastero, al-Hayek, dove si trovavano quattro sorelle in procinto di scendere in chiesa per la preghiera. I nostri ospiti hanno ripetutamente chiesto del priore del monastero che era assente.
Dopo un’inutile ricerca delle famose armi, le sorelle sono state chiuse in una stanza sotto sorveglianza e la pattuglia è entrata in chiesa dove suor Deema ha subito fatto presente che il luogo era sacro e meritava rispetto. I nuovi amici ci hanno invitato a continuare a pregare e poi si sono vigorosamente occupati di fratel Butros e di altri collaboratori che terminavano di assistere a una partita di calcio alla televisione. Un omone col passamontagna ha accompagnato fratel Butros nell’ufficio per una ricognizione e per distruggere i telefoni. Dopo aver accettato un bicchiere d’acqua, rifiutato il tè e aver di nuovo domandato, ormai senza molta convinzione, delle armi e dei soldi, ci hanno tenuto a scattare qualche foto al momento di ripartire, pregando i presenti di non muoversi prima d’un’oretta.
Poco dopo, padre Paolo Dall’Oglio veniva informato sul cellulare, mentre era a Damasco, della conclusione “miracolosa” dell’avventura. Occorre dire che ce lo aspettavamo. Sicuramente gli angeli custodi della valle hanno svolto un ottimo servizio. Gli uomini armati non volevano farci del male e il loro capo ha vietato loro di rubare e di far danni. In un certo senso esprimiamo loro riconoscenza per il rispetto del luogo sacro e delle persone che hanno tutto sommato dimostrato. Sincere le preghiere per loro e le loro famiglie durante la messa di stasera.
Impossibile per ora valutare il significato di quest’irruzione. La banda sembra essere una di quelle che praticano il contrabbando sulla vicina frontiera libanese. Ma perché cercare da noi delle armi quando da mesi e mesi proponiamo la non violenza e la riconciliazione attraverso il negoziato e la libertà di espressione? Probabilmente il fatto va interpretato nel quadro delle calunnie malintenzionate di cui siamo oggetto da anni e che nel contesto attuale diventano più pericolose. Il nostro duraturo impegno per la maturazione d’una società civile dove l’armonia interreligiosa sia elemento essenziale dello stile di vita, unita a trasparenza e cultura democratica, non può piacere a tutti. Il rifiuto della corruzione nei corpi sociali, anche religiosi, si paga. Chi ci accusa in questo modo mette in pericolo la vita di persone inermi e pacifiche.
Che ormai la Siria sia nella condizione di guerra civile non è un mistero per nessuno. Continuiamo a chiederci attraverso quali mezzi questa caduta all’inferno potrebbe essere interrotta. Benedetto XVI, nell’Angelus del 12 febbraio, dopo aver espresso accoratamente solidarietà con le vittime, invitava tutti, «e anzitutto le autorità politiche in Siria», al dialogo e alla riconciliazione.
Pensiamo che sia possibile aggirare l’impasse, costituita dalla contrapposizione violenta sul terreno, promuovendo, tra siriani all’estero, dei laboratori di dialogo, di negoziato e di riconciliazione nazionale, nelle molte città nelle quali sono immigrati. Per questo occorre l’impegno di mediazione di importanti istituzioni e/o efficaci ong. Mettere in rete queste esperienze di dialogo potrebbe fornire una parte dell’humus necessario alla nascente democrazia siriana.
Per favore, cercate di agire subito, perché la tragedia in corso sta diventando immane. Il realismo pessimista non è una virtù. Virtuosa invece è la speranza capace di visione e di responsabilità, sapendo che il poco alla nostra portata, realizzato con impegno e cercando cerchi sempre più vasti di coordinamento e addirittura di comunione, può ribaltare una deriva omicida, come quella in corso in questa terra siriana che ha per vocazione d’essere un giardino, un kindergarten, dell’armonia intercomunitaria.