I patti educativi di comunità funzionano
Labsus, Laboratorio per la sussidiarietà, fondato nel 2005 da Gregorio Arena, ha comunicato il 28 marzo scorso i risultati di un’indagine nel campo educativo. Si rivelano comunità attive per il bene comune con le procedure dell’amministrazione condivisa. 10 mila persone coinvolte, 102 esperienze attraverso progetti, laboratori, gestione di spazi in stretta collaborazione tra Comuni e Terzo Settore.
Le Regioni con il maggior numero di Patti di collaborazione sono: Emilia Romagna con il 32%, Toscana e Lombardia con il 18%, Piemonte con il 10%. Le scuole interagiscono prevalentemente con Associazioni (80,9%), Enti pubblici (76,6%), cittadini singoli (70,2%), gruppi informali (57,4%), cooperative (38,3%). I Patti educativi di comunità si trovano prevalentemente in Puglia e Piemonte.
Le loro attività principali riguardano l’inclusione e la socializzazione (31,8%), il contrasto alla dispersione scolastica (22%), Territorio e sostenibilità (12,9%), recupero degli apprendimenti di base (11,4%). Il Patto è uno strumento amministrativo che stabilisce quali attività di cura vengono poi attuate dai diversi soggetti. Ad esempio, nell’ Istituto Manin- Di Donato all’Esquilino di Roma, alle 16, quando i docenti terminano il loro servizio, i genitori entrano in campo e mettono a disposizione competenze e saperi in laboratori aperti fino a tarda sera. A Genova abbiamo una scuola sempre aperta con percorsi ludici e sportivi soprattutto per ragazzi con disabilità, corsi di musica, educazione motoria.
Labsus ed Indire, Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa, hanno individuato due tipi di esperienze: Patti di collaborazione nella comunità educante con famiglie, Ets, rivolti a contrastare dispersione scolastica e ad integrare immigrati, soprattutto nelle città e Patti educativi di comunità, soprattutto nelle aree interne, mediante la costruzione di rapporti tra parti diverse della comunità locale che si prende cura della scuola con azioni attuate da diversi soggetti.
Si crea in tal modo una maggiore sinergia tra attori del territorio ed istituzioni. Questi strumenti sono ormai collaudati e nuove scuole possono aprirsi al territorio superando difficoltà burocratiche. Si creano vere e proprie scuole diffuse con comitati di genitori, Ets, Collegi dei docenti che rendono più saldo il rapporto tra la comunità e gli adolescenti. Con i Patti di collaborazione, ad esempio, si possono recuperare giardini abbandonati nei pressi delle scuole per prendersene cura con laboratori all’ aperto. Si tratta di riqualificare spazi urbani con il contributo di fondazioni di origine bancaria e dei Comuni. Ha affermato Gregorio Arena: «Con queste esperienze la scuola diventa più di un bene pubblico: un bene comune. Se si sviluppasse anche solo in 1000 delle 40 mila esistenti in Italia sarebbe una rivoluzione».
La scuola migliore, per Labsus, è quella condivisa., Il Rapporto annuale appena pubblicato ci fa notare una semina collaborativa tra ente pubblico e comunità. «Pensiamo che i risultati della nostra indagine qualitativa e quantitativa portino acqua al mulino delle politiche basate sulla collaborazione tra responsabili pubblici e società civile».
L’esperienza educativa è infatti sulle spalle un’intera comunità e non solo di quelle dei docenti. Le alleanze orizzontali per l’educazione che si creano come bene comune in comunità di cura assai vivaci, accrescono livello di soddisfazione di chi si impegna nei Patti. La scuola è aperta a tutti, senza discriminazioni mentre valorizza i capaci e meritevoli, afferma l’art 34 della Costituzione.
Tutti hanno diritto al sapere, all’ istruzione, a prescindere dalla condizione sociale. La scuola quindi rientra a nei beni comuni materiali e immateriali di cui i cittadini devono prendersi cura. «Ma quando le associazioni di genitori o più in generale i cittadini attivi si prendono la responsabilità di prendersi cura di una parte dell’edificio scolastico e delle sue pertinenze sulla base di un patto di collaborazione, allora per tutto il tempo che dura quella attività di cura condivisa, quella scuola diventa un bene comune». (Gregorio Arena)
Si stabilisce un legame non solo materiale ma anche giuridico con quel bene pubblico. Si utilizzano così risorse e competenze private. Si concretizza il principio di sussidiarietà orizzontale con strumenti pattizi. È importante, in conclusione, il Rapporto annuale di Labsus in collaborazione con il gruppo “Piccole scuole” di Indire che consente di verificare, come campione, i progressi verso una scuola aperta ed inclusiva nell’ ecosistema comunitario.
Ovviamente rimane fondamentale assicurare alle scuole stabilità e finanziamenti ed una sensibilizzazione sull’ alleanza scuola- territorio nelle aree più fragili e periferiche del Paese.
L’ Intergruppo parlamentare su dispersione scolastica e povertà educative, in fase di costituzione, può seguire con attenzione questo percorso ed incoraggiare ogni iniziativa contro la povertà educativa di Terzo Settore, Pubblico e imprese, come nel “progetto futura” di Save the Children, Forum Disuguaglianze, Yolk e Intesa Sanpaolo.
Sono percorsi personalizzati a Roma, Napoli, Venezia per adolescenti e giovani donne, mamme comprese. Il 56% dei Neet sono donne. Molto il lavoro da fare nei prossimi anni per “portare l’Italia in Europa” dal punto di vista delle povertà educative.
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