Patria mia
Giorgio Scerbanenco - Aragno
Andrea Paganini, critico serio e affermato, cura per Aragno uno scritto da lui ritrovato di Scerbanenco, scrittore oggi in via di rivalutazione, già molto stimato da Indro Montanelli e poi considerato popolare e giallista, indietreggiato nella memoria dopo la morte prematura. Nelle sue 40 solide pagine introduttive Paganini delinea molto acutamente il clima culturale di Patria mia: quell’Italia di bendicenti pubblici e maldicenti privati del regime, in cui «gli animi marciscono» e «il livello della società si abbassa», pur nella ostentata legittimazione (spesso assai opportunistica e ipocrita) del potere da parte della “massa”.
E così, dice Paganini, «concentrandosi sul comportamento delle persone, questo saggio assume un valore paradigmatico e non cessa di costituire un monito per i lettori del presente e del “futuro”. E ora ascoltiamo Scerbanenco: «Combattere senza fede, e aver ragione di non aver fede, è ben triste. (…) Era commovente vedere questi ragazzi cercare di farsi una fede in ogni modo. (…) Si attaccavano a quest’astratta gloria dei soldati di tutto il mondo, perché quella dell’Italia, della Patria non potevano averla, dato che questi due termini erano sinonimi di fascismo. Ai greci, ai francesi, agli inglesi, non volevano male, non potevano voler male, anzi sapevano perfino che era ingiusto voler loro male: loro uccidevano e si lasciavano uccidere, solo per la gloria del loro battaglione, per il capitano, per il tenente cappellano, che era così buono e sapeva dare tanto coraggio».