Paternità

Con i figli adolescenti: regole, fiducia, responsabilità, speranza… e lotta
famiglia

Le due di notte, fuori da una discoteca a Roma. Le ragazze, tredicenni o poco più, trucco pesante e striminziti vestitini, si aggirano nervose barcollando su tacchi troppo alti, nell’impossibile sforzo di mostrarsi disinvolte come le “donne” della tv. I ragazzi, pantaloni a cavallo basso e slip firmati in primo piano, nascondono con atteggiamenti da bulletti e risate forzate l’insicurezza dell’età. Fragili e spavaldi (Laterza) li ha definiti nel suo libro Pietropolli Charmet, studioso dell’adolescenza.

A un certo punto compare un padre. Ha pazientemente atteso un’ora, in macchina, che la figlia uscisse. È attento, premuroso, servizievole. Preoccupato che non prenda freddo e che stia bene, le apre la porta della macchina mentre lei, silenziosa, a malapena saluta. Più in là, un altro padre sbuffa in macchina, scocciato per l’attesa. Appena il figlio si infila in macchina, inizia a borbottare sul sonno perso, i locali di questo tipo e la gente che li frequenta. Il figlio lo interrompe: «Che tristezza, papà», e racconta delle ragazze che fanno le cubiste nel locale, tra maschi che osservano da vicino e gruppetti di ragazzine più discoste.

 

Due padri diversi, davanti ai figli adolescenti nella società odierna. Una società “appiattita e indistinta”, secondo l’ultimo Rapporto Censis. In questa società “liquida”, i ragazzi hanno sempre più bisogno di adulti che sappiano incarnare le parole onestà, amore e fedeltà. Di qualcuno che indichi i limiti, le conseguenze delle azioni e sia disposto a interrogarsi ed esprimere chiaramente il proprio punto di vista anche nelle situazioni difficili; poi il figlio può fare diversamente, ma gli rimarrà comunque in mente quel riferimento.

 

Le mamme insistono che autorevolezza non è solo impartire norme, regole, orari… pur necessari. Spiegano che autorevolezza è il nome dell’amore declinato con intelligenza e saggezza, quando coniuga regola e fiducia, responsabilità e speranza.

D’accordo, ma non è facile. E la società non aiuta. Per cui i padri probabilmente si ritrovano di più nelle parole di Giuseppe Milan, autore del libro L’epoca delle speranze possibili (Città Nuova): «L’educazione autentica è una calda, profonda lotta interpersonale, per costruirci l’un l’altro. È un appassionato dialogo, concreto, reciproco». All’interno di questa “calda lotta” (le due parole sono proprio azzeccate), uno di fronte all’altro nel serrato confronto del dialogo autentico, «si realizza l’attraversamento verso la vita adulta. Qui sta l’essenza del compito educativo». Un confronto «che conduce infine alla “benedizione”, all’affermazione dell’autonomia del figlio da parte di un padre capace di farsi vincere dalla determinazione identitaria del figlio, di dirgli “sei adulto”, e di provocarne il salto» da adolescente ad adulto.

Capita, infine, che un padre si ritrovi nei prati davanti al santuario del Divino Amore, a Roma, tra ragazzi giunti da mezza Europa per la beatificazione di Chiara Luce Badano. Sono tanti, colorati, gioiosi. Cantano. Sono sereni, normali, quindi fragili e spavaldi, come i loro coetanei. Ma anche, è evidente, capaci di migliorarsi, di cercare qualcosa di grande, capaci di santità. E la prospettiva acquista nuove sfumature. Anche per i padri.

Giulio Meazzini

 

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Come se la passano i padri?

Non ho particolare simpatia per le lamentele sui generi che cambiano e le nuove generazioni che non sono più come un tempo. Al contrario, penso che il cambiamento dei padri abbia risvolti positivi. Sarà perché si diventa padri più tardi di un tempo, sarà perché la paternità viene spesso conquistata con consapevolezza e responsabilità, ma i padri che incontro nei tragitti quotidiani mi sembrano più presenti e attivi nella vita dei figli.

I sociologi della famiglia confermano questo impegno, sottolineando come esso si manifesti fin dalle prime fasi di crescita del bambino. Alcuni padri danno prova di saper accudire anche figli molto piccoli, con disinvoltura e ironia, superando a pieni voti la prova biberon e pannolini. Mi sembra a tal proposito calzante la definizione di “padri partecipanti”, che instaurano con i figli relazioni di tenerezza.

Eppure il quadro è più complesso. Il ruolo dei padri è talvolta più apparente che reale e la loro presenza in famiglia molto selettiva. Molti sembrano prediligere attività di gioco, sportive e di socializzazione rispetto a quelle di routine, come la cura fisica o l’accompagnamento nei compiti. Con il rischio di diventare baby sitter occasionali o simpatici compagni di giochi. «L’attività di cura dei padri avviene nel tempo lasciato libero dal lavoro che, a differenza di quello delle madri, non appare toccato dagli impegni di una paternità accudente», osserva la sociologa Chiara Saraceno. Mentre condividere con la madre le attività di cura consentirebbe di sviluppare relazioni sane e durature.

Comunque la figura del padre sta cambiando e questa mi pare una buona notizia. Si tratta di capire se in questo cambiamento è andato perso qualche aspetto importante, se si rischia di avere generose figure di “mammi” che prendono il posto delle madri iperprotettive, smarrendo l’autorevolezza e l’equilibrio necessari ai bambini per crescere. Si tratta insomma di interrogarsi, madri e padri, nell’esercizio di un compito sempre più condiviso ed equamente ripartito, sulla combinazione possibile di affetto e regole. Una sfida da vincere insieme.

Elena Granata

 

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Genitori autorevoli

I padri hanno perso autorevolezza? Forse bisogna prima sottolineare che abbiamo gioito di fronte alla perdita di autoritarismo che ha reso i papà (e non solo loro) più a misura di famiglia, più vicini alla sensibilità delle mogli e dei bimbi. Certamente i tradizionalisti, lievemente maculati di maschilismo, hanno gioito un po’ meno, ma nella storia dell’umanità chiunque abbia goduto di un privilegio ha sempre lottato fino all’ultimo per conservarlo.

Allora forse non è del tutto corretto dire che i padri hanno perso autorevolezza, più esatto sarebbe constatare che nella società estremamente fluida in cui viviamo, i ruoli hanno bisogno di qualche messa a punto. E il problema riguarda le madri non meno dei padri. Lo psicologo Osvaldo Poli afferma che l’autorevolezza non è un’esclusiva maschile; quello che importa è che il bambino apprenda che esistono dei confini al suo egoismo, che si deve relazionare con un Tu che non è solo un’estensione del suo io. E che senta sempre e concretamente che papà e mamma gli vogliono bene.

L’autorevolezza in sé non è nulla, essa nasce dalla credibilità della vita che si vive. Non è il padre a dover essere autorevole, mollando magari qualche scappellotto a destra e a manca, autorevole è l’amore fra i genitori, se c’è. Autorevoli sono i genitori, che, in virtù del rispetto che hanno l’uno per l’altro e per il mondo che li circonda, rispettano la crescita dei figli e insegnano loro a rispettare sé stessi e gli altri. Ma questa autorevolezza comporta impegno, pochi privilegi e tanto servizio: forse per questo non piace molto ai genitori della società del benessere.

Luca Gentile

 

LA PAROLA AI LETTORI

 

Genitori e figli: come costruite il dialogo?

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