Pasteur: lo scienziato credente che inventò il vaccino
Ricordare Louis Pasteur a 200 anni dalla nascita (il 27 dicembre 1822) un po’ francamente imbarazza. Non si sa da dove cominciare, tanto grande è stato il personaggio, e specialmente lo scienziato, e tanto numerose sono state le sue scoperte e i suoi contributi al progresso della scienza, della medicina e quindi della società, del mondo.
Comincerei brevemente da un dato e un nome che sono nell’orecchio delle persone oggi. Parlo del celeberrimo Istituto Pasteur, fondato dallo scienziato borgognone a Parigi nel 1887 e ancora oggi tra i centri di ricerca scientifica più prestigiosi del pianeta, con “clonazioni” in tantissimi Paesi, incluso il nostro.
Tutti conoscono almeno di fama questo Istituto, che dagli anni ’80 a oggi ha avuto una nuova fiammata di notorietà grazie al nome illustre dello scienziato francese Luc de Montagnier, il virologo che lo ha diretto per anni, scoprendo nel 1983 il virus dell’HIV e ottenendo nel 2008 il Nobel per la medicina.
Negli ultimi anni si è chiacchierato molto su Montagnier per via di certe “eresie” di cui, per i media e una parte del mondo scientifico, si sarebbe fatto banditore, compresa quella dei no-vax, sostenuta in una manifestazione a Milano pochi giorni prima di morire, a febbraio di quest’anno.
In quell’occasione Montagnier, dopo aver dichiarato di non essersi vaccinato contro il Covid 19, ha sostenuto che i vaccinati sono destinati a morte sicura e che il mondo sarà salvato dai non vaccinati. Farneticazioni di novantenne con un piede nella fossa? Forse. Comunque sia, questo nulla toglie ai meriti scientifici del Nobel che ha salvato la vita a milioni di sieropositivi e non solo.
Tutto questo testimonia che l’Istituto scientifico parigino e la sua ultima “superstar” somigliano al suo fondatore, Louis Pasteur, pure lui un po’ primadonna. Pure lui chiacchierato e anzi combattuto, specie dai suoi “concorrenti” scienziati (epica la battaglia col tedesco Robert Koch, altro no-vax ante litteram per certi versi), ma ricercatore e scopritore veramente immenso e tra i più grandi benefattori dell’umanità.
E poi decisamente non era un anti-vaccinista, visto che anzi è a Pasteur che dobbiamo alcuni immunizzatori importanti e la nascita stessa, nonché la prima diffusione popolare e mondiale, della cultura della vaccinazione.
L’impasse di cui dicevo all’inizio torna quando si tratta di specificare qualcuno dei suoi innumerevoli grandi risultati. Vediamo. Noi che ci nutriamo di latte, gustiamo il vino e ci dissetiamo con l’amata birra saremmo tutti dei perfetti candidati all’obitorio se Pasteur non avesse prima supposto e poi scoperto il mondo dei microrganismi, diventando così il padre riconosciuto della microbiologia, il primo microbiologo della storia della scienza.
Infatti, se si parla di pastorizzazione – cioè del processo di sterilizzazione delle bevande sopraricordate mediante il loro riscaldamento, in modo da renderle potabili eliminando i microbi al loro interno («solo così il vino diventa la più sana e benefica delle bibite», diceva Pasteur) – non si deve pensare a pastori o pastorelle ma al nostro scienziato, perché la parola “pastorizzazione” deriva proprio dal suo nome.
Infatti a essere pignoli bisognerebbe dire pasteurizzazione, rendendo a Cesare quel ch’è di Cesare. Ma in generale questo procedimento inventato da Pasteur si inserisce nelle sue più ampie e rivoluzionarie ricerche sulla fermentazione dei prodotti naturali, con risultati che fecero molto bene oltre che alla salute delle persone all’economia agricola d’oltralpe e, rapidamente, di tutto il mondo.
Ma dov’è il Pasteur più mitico è stato nello studio delle malattie infettive e nella conseguente scoperta, produzione e applicazione dei vaccini, quasi sempre con successo, anche se guastato dall’invidia e gelosia di “grandi spiriti” che glielo contestavano. Scoprì fra l’altro i vaccini contro il colera dei polli, l’antrace e soprattutto la rabbia. Che debellò in un giorno storico, quando iniettò il vaccino appena predisposto a un ragazzo alsaziano, Joseph Meister, morso per 14 volte da un cane rabbioso.
Era il 6 luglio 1885 e Pasteur era riluttante all’impresa, trattandosi di una sperimentazione. D’altronde il malato era condannato a morte certa, e poi nella ricerca, per far camminare scienza e medicina in quei tempi pionieristici, si doveva essere un po’ azzardati, un po’ incoscienti. Pasteur lo fu, e la malattia fu sconfitta.
Concludendo l’omaggio a quest’uomo geniale e solido, pure per via delle sue origini contadine (il papà era un conciatore), sposato con Marie Louise Laurent, sua efficace collaboratrice, padre di 5 figli e docente in vari atenei fra cui la Sorbona, penso sia giusto ricordare la sua fede religiosa sincera e dichiarata.
In un’età in cui si aveva il culto della scienza e del progresso tecnico, ma in senso ideologico e non oggettivo, quando i positivisti avevano in mano le leve del comando in campo sia tecnico-scientifico che filosofico-culturale, Louis Pasteur diceva a chiare lettere e senza paura: «Ho la fede cattolica di un contadino bretone. E quando starò per morire vorrei avere la fede della moglie di un contadino bretone».
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