Pasternak, abitante delle nuvole
Le poesie e le lettere di Boris Pasternak erano lette dai detenuti dei lager sovietici come preghiere. Erano preziose. Perché? Perché erano parole di un poeta. Una razza in via di estinzione, non protetta da alcuna associazione, eppure indispensabile all’eco-sistema del mondo.
Boris Pasternak (1890-1960) è conosciuto al mondo intero come l’autore del Dottor Zivago, celebre romanzo diventato celebre film. Un’opera che a suo tempo fece clamore, perché del tutto dissonante rispetto all’ideologia dominante. Terminato nel 1957, Dottor Zivago fu pubblicato per la prima volta nel mondo da Feltrinelli, in Italia. Fu però bandito nell’Urrs di Chruščëv, e causò allo scrittore difficoltà pesanti che lo portarono alla povertà e all’isolamento. Non gli fu concesso di andare a prendersi il premio Nobel che gli era stato assegnato nel 1958, e che fu poi ritirato da suo figlio solo 31 anni dopo, quando con Gorbačëv il romanzo fu finalmente pubblicato in Russia.
Anche Stalin non amava Pasternak. Avesse potuto, avrebbe usato con lui la mano pesante, ne era certo capace, ma Pasternak era conosciuto, aveva legami con l’Inghilterra, perciò suo malincuore lo difendeva con i suoi dicendo: «Lasciate stare questo abitante delle nuvole». Pasternak era davvero un abitante delle nuvole. Ma Stalin non si rendeva conto che sono proprio gli abitanti delle nuvole a infilare tra gli ingranaggi d’un sistema totalitario quei granelli di sabbia che un po’ alla volta lo fanno inceppare. Perché portano novità, mentre l’ideologia pretende di sostituire uno schema prefissato all’immensa complessità della realtà. Pasternak, come ogni poeta, sapeva che la formula matematica della novità è sempre la stessa: Novità = Tradizione + Libertà. Sapeva che la novità si muove lungo la traiettoria della verità. Perciò cozza contro l’ideologia.
Ai suoi tempi Pasternak era letto e amato clandestinamente perché era l’esatto contrario della riduzione della verità operata dall’ideologia. I suoi scritti erano come l’irrompere del miracolo della primavera in un mondo sempre più grigio e metallico. Il ruolo del poeta è annunciare la primavera, che è risurrezione. Lui lo ha interpretato al meglio delle sue possibilità. Lui che piangeva di felicità «per la consapevolezza dell’armonia che Dio ha infuso nella vita di ciascuno, creando in qualche modo ogni uomo come suo tempio».
Il suo cristianesimo, di cui era permeato Zivago, riconosceva in Gesù non tanto l’autore di insegnamenti morali, quanto colui che ha svelato il segreto della vita, regalando al mondo l’immortalità. Da poeta poteva sussurrare: «Signore, Ti ringrazio perché il Tuo linguaggio è magnificenza e musica, perché mi hai fatto artista, perché la creatività è la Tua scuola». Il titolo stesso del romanzo è un programma: Živago nello slavo ecclesiastico significa “vivente”, non indica un uomo perfetto, ma un uomo vivo, quindi pieno di contraddizioni. Come del resto è stato Boris Pasternak.
In occasione del sessantennio, esce nelle librerie Pasternak e Ivinskaja. Il viaggio segreto di Živago, di Paolo Mancosu. Un libro che rende onore a una figura straordinaria, Olga Ivinskaja, la donna che amò Pasternak con tutta se stessa, che gli fu sempre accanto. Per questo fu arrestata, torturata dalla polizia sovietica, perse il bambino che aspettava da Boris, poi venne rilasciata, poi nuovamente reclusa. Lei era l’amante di Pasternak – lui non lasciò mai la moglie –, fu la sua segretaria, la sua aiutante, la sua musa ispiratrice, l’amministratrice dei diritti d’autore… il suo tutto. È grazie a lei se fu pubblicato Zivago.
Olga, che era 22 anni più giovane di lui, morì nel 1995, sola, dimenticata. Anche Pasternak morì solo, nel 1960, per un attacco cardiaco come il protagonista del suo Dottor Zivago. Non morì in un letto d’ospedale, ma quello che aveva scritto in una poesia rimane il suo stupendo addio al mondo: «Mentre mi spengo in un letto d’ospedale / sento il calore delle Tue mani / Tu mi sorreggi, sono opera Tua, e mi riponi come una gemma nello scrigno».