Spagna, tra siccità e nubifragi
Per chi ha dimestichezza con la storia, o è un affezionato lettore di romanzi storici, il nome Nelson si lega subito alla battaglia navale di Trafalgar (sud della Spagna), quella in cui, nel 1805, le flotte alleate di Regno Unito, Austria, Russia, Napoli e Svezia affrontarono la flotta franco-spagnola di Napoleone. Gli alleati comandati dal vice ammiraglio britannico Horatio Nelson riportarono una famosa vittoria. La leadership di Nelson, la sua strategia e le sue tattiche non convenzionali portarono ad una serie di decisive vittorie navali di cui forse tanti britannici di oggi nemmeno si ricordano, ma senza dubbio tutti sanno che Trafalgar Square, a Londra, commemora una grande vittoria.
Per chi invece non è pratico di storia del periodo napoleonico, Nelson è ormai diventato il nome della tempesta che durante i giorni della Settimana Santa 2024 (l’ultima settimana di marzo) ha bloccato le processioni in Spagna e Portogallo. Nella mia città ho potuto vedere per strada solo quella del venerdì sera. Tutte le altre, dalla domenica delle Palme alla domenica di Pasqua, sono rimaste al coperto perché la pioggia non smetteva. Quanta acqua! Gli inglesi direbbero che piovevano cani e gatti (it’s raining cats and dogs), che in italiano si traduce più o meno con l’espressione: acqua a catinelle.
Certo, c’era bisogno d’acqua dopo mesi e mesi di siccità e con alcune regioni (Catalogna, Andalusia) in situazione di emergenza per mancanza d’acqua. Ma per chi aspetta e si prepara tutto l’anno per accompagnare il suo «santo» in processione è stato proprio un dramma. Fino alle lacrime! A ciò va poi aggiunto il disastro del mancato turismo, con perdite economiche intorno al 15 per cento, almeno in alcune regioni, rispetto allo scorso anno.
Nelson (inteso come tempesta) ha dunque rovinato le tradizioni della Pasqua, ma ha anche aumentato le riserve idriche in tutta la penisola iberica. Secondo gli ultimi dati del Sistema informativo nazionale portoghese sulle risorse idriche, il volume totale di acqua immagazzinata negli invasi ha raggiunto l’89 per cento delle capacità, dopo la crescita del 2,6 per cento solo nell’ultima settimana di marzo: quindi il Paese ha attualmente 11.806 ettometri cubi (hm³) d’acqua nelle sue dighe. In Spagna la situazione invita addirittura all’ottimismo poiché le riserve idriche sono cresciute di oltre cinque punti percentuali in una sola settimana. L’insieme degli invasi raggiunge il 63,13 per cento della capacità complessiva, mentre l’anno scorso, nello stesso periodo, le riserve idriche erano al 51,55 per cento.
Come gestire tutta quest’acqua in tempi di cambiamento climatico preoccupa soprattutto chi dipende da essa. Lorenzo Rivera, coordinatore della Coag (organizzazione di agricoltori e allevatori) della regione di Castiglia e León, spiega che, essendo la Spagna il primo paese in Europa in grado di immagazzinare acqua (56 mila hm3), «non si tratta di costruire più serbatoi per risolvere il problema dell’acqua», ma di «cambiarne l’uso che se ne fa, adottando un uso misto per la produzione di energia ma anche per l’approvvigionamento umano e per l’uso agricolo». Rivera spiega che finora «buona parte delle dighe sono utilizzate per produrre energia elettrica, il che oggi non è così necessario». Vale a dire che oggi c’è una grande capacità di produrre energia da fonti rinnovabili, cosa che non succedeva 70 anni fa, quando furono costruite la maggior parte delle dighe.