Pasqua a Procida. Un sogno che si rinnova
L’isola di Procida, appena 3,7 chilometri quadrati con oltre 10 mila abitanti: una striscia di terra pianeggiante con una sola piccola altura. Su questa altura, un tempo, l’unico centro abitato intorno ad un’abbazia e dal 1586 il grande castello D’Avalos, trasformato poi nel 1830 dai Borbone in casa di pena: punizione esemplare per una popolazione che, nel 1799, aveva osato inneggiare alla repubblica partenopea, e che pertanto aveva già meritato sedici impiccagioni, tra le quali quelle di tre sacerdoti. Evento luttuoso che aveva scardinato le fondamenta della collettività, generando il sospetto, la mancanza di fiducia tra gli abitanti, la disaffezione alle pubbliche attività e il rifugio nel solitario lavoro sul mare. E il mare è stato per secoli l’unica risorsa dell’isola. Noi dobbiamo tutto al mare, dice Graziella, la fanciulla procidana protagonista del romanzo omonimo del grande romantico francese Alphonse de Lamartine; e quando un secolo dopo Elsa Morante, insieme al marito Alberto Moravia, approdò sull’isola, nel risentire l’eco della fanciulla lamartiniana, trovò ispirazione per il suo Arturo. Ma Arturo, a differenza di Graziella, cercò oltre il mare nuove esperienze per crescere e diventare uomo. Se un giorno Lamartine e la Morante tornassero a Procida, forse non riconoscerebbero più l’isola amata – anche qui lo sviluppo e il benessere ha prodotto i suoi guasti -, ma sicuramente tra i tanti volti isolani incontrerebbero ancora la giovane Graziella e il coraggioso Arturo. Sì Arturo e Graziella ancora vivono nell’isola nonostante tutto, perché i giovani conservano nel loro animo una grande sete di idealità e di speranza. Per questo, restano l’unica vera e grande risorsa dell’isola e a loro è dovuta la magia che ogni anno si rinnova a Pasqua. Infatti, con l’approssimarsi della Pasqua, l’isola cambia volto, azzera gli scarti, cancella il sospetto e la sfiducia, e ritrova per incanto la compagine e la necessità di vivere rapporti di collaborazione e di ricerca comune. Le strade si animano di suoni arcani e di movenze antiche e si aspetta l’alba dei giorni della settimana santa come si aspetta un padre che torna dall’imbarco dopo tanti mesi. Sì, la Pasqua è per Procida grazie ai giovani, l’attesa di una perenne novità, la ricerca di un altrove che si colora di mistero, espresso simbolicamente nei riti liturgici, nel surreale corteo degli apostoli, nella multiforme e coloratissima sequenza di plastici biblici realizzati per tempo dai ragazzi e dai giovani negli antichi portoni dei palazzi, nei capannoni, nei laboratori della scuola Capraro, e trasportati poi a braccio per le stradine dell’isola nell’alba del venerdì di passione Zittiscono le marmitte delle auto e dei motorini, zittisce la droga, zittiscono i cantieri abusivi. Tutti sono sulle strade, piccoli e grandi insieme, nell’abito di festa a cercare l’innocenza perduta, a riscoprire, se pure per un attimo, il senso del vivere nelle tradizioni dei padri. L’isola pensosa e muta nella silenziosa marcia degli apostoli senza volto richiama la comune condizione di viandanti in un tempo che non è più quello reale, ma il tempo dell’anima. E in quel silenzio l’isola si prepara al tempo della morte che è salvezza: Cristo è stato ucciso come un malfattore fuori le mura. Ogni logica è rovesciata: quella morte è il discrimine tra il prima e il dopo, la novità assoluta della Storia che si esprime nella creatività esplosiva dei misteri che giovani e meno giovani, nel loro vestito bianco e azzurro della Congrega dei Turchini, dopo la notturna salita all’antica abbazia, all’alba, preceduti da un lamento di tromba, rovescia con fierezza, come da una sorgente, nel dedalo di viuzze. Ancora una volta, ancora come ieri ma in forme inedite e suggestive. E nei cuori riesplode un canto: Tutto non è perso… L’isola potrà rinascere se recuperiamo le radici antiche… Rinsaldiamo i nostri rapporti, bruciamo le inimicizie, guardiamoci con occhi nuovi come in questi giorni di Pasqua….