“Parzialmente libera”

Si celebra oggi la Giornata mondiale per la libertà di stampa, promossa dall'organizzazione Freedom House. Un'occasione preziosa per riflettere anche sulle condizioni del nostro Paese.
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«La libertà di pensiero e di stampa sono costituzionalmente garantite e generalmente rispettate, nonostante le preoccupazioni relative alla concentrazione delle proprietà dei mezzi di comunicazione. L’Italia registra infatti un tasso eccezionalmente alto per gli standard europei». Questa la definizione dello stato delle cose a casa nostra secondo l’organizzazione americana Freedom house, che dal 1980 monitora la libertà di stampa in tutto il mondo, con grande competenza e libertà d’azione. Nella Giornata mondiale per la libertà di stampa, è utile dare uno sguardo ai motivi che hanno spinto l’organizzazione a mantenere il nostro Paese allo status di “parzialmente libero”, unico caso in Europa occidentale: al 72° posto nel mondo su 196, tra India e Bulgaria.

 

Non è infatti soltanto la concentrazione delle proprietà di giornali e tv ad influenzare negativamente la libertà di stampa. Freedom house cita anche il dupolio Rai-Mediaset che copre il 90 per cento del panorama televisivo, le intromissioni della criminalità organizzata, provvedimenti come il disegno di legge sulle intercettazioni e la lunga serie di querele che pendono sulla testa di molti giornalisti – senza contare che i tempi del nostro sistema giudiziario certo non aiutano. Per questo – afferma un rapporto del Consiglio d’Europa citato dall’organizzazione – si registra una notevole diversità nei contenuti dei media europei rispetto a quelli italiani, spesso gestiti da partiti politici o da grandi gruppi, e un crescente numero di italiani che usa i blog come fonte di informazione.

 

Secondo il Rapporto 2010 di Freedom house, pubblicato in occasione della Giornata come stimolo alla riflessione e all’azione, la libertà di stampa ha nel complesso fatto passi indietro in tutto il mondo per l’ottavo anno consecutivo. I Paesi in cui si è verificato un declino di questo fondamentale diritto sono stati infatti quasi il doppio di quelli che invece hanno fatto progressi. A soffrire sarebbero soprattutto l’America Latina, l’Africa subsahariana e il Medio Oriente: tra i declini “di peso” ci sono quelli del Sudafrica – sceso da “libero” a “parzialmente libero” – e del Messico. Inoltre Cina, Russia e Venezuela avrebbero notevolmente espanso la censura soprattutto sul web, e i giornalisti continuano ad essere vittime di intimidazioni e attacchi – nel mondo ne sono stati uccisi 42 nell’ultimo anno. Considerando il panorama globale, quindi, solo una persona su sei al mondo vive in un Paese in cui l’informazione è realmente libera.

 

Interessante notare le tre fasi identificate da Freedom house negli ultimi trent’anni: mentre fino al crollo del muro di Berlino la libertà di stampa era patrimonio quasi esclusivo del mondo occidentale – tanto che toccava solo il 22 per cento dei Paesi – nel corso degli anni Novanta si è notevolmente espansa, tanto che nel 2000 solo il 35 per cento degli Stati era classificato come “non libero”. «Purtroppo però – prosegue il rapporto – questi miglioramenti non si sono consolidati nell’ultimo decennio, in quanto sia i governi che altri soggetti hanno trovato nuovi modi per restringere la libertà di informazione». Un’analisi più dettagliata dei singoli continenti evidenzia comunque una notevole diversità di situazioni, dalla sostanziale stabilità dell’Europa al drammatico calo dell’Africa.

 

Non è tuttavia il caso di vedere tutto nero. Freedom house sottolinea in particolar modo l’apporto positivo dei nuovi media, in quanto anche nei Paesi dove la libertà di stampa è limitata questi «sono emersi come un’importante forza di apertura e hanno portato varietà di notizie e di opinioni». L’organizzazione cita il caso dell’Egitto, che è passato allo stato di “parzialmente libero” proprio grazie allo sviluppo di internet, e quello dell’Iran, dove durante le proteste studentesche è stato il web a garantire un flusso di notizie in uscita dal Paese.

 

Sul sito di Freedom house è disponibile la classifica dei singoli Stati (cliccando su tables). A guidare sono a pari merito Islanda, Finlandia, Svezia e Norvegia, mentre a soffrire maggiormente sono Birmania, Turkmenistan e Corea del Nord.

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