Partner alla pari, non poliziotti

Nell'affrontare il tema della sicurezza nel Mediterraneo, il professor Benhammou ha portato al forum del Ppe la visione dell'altra sponda del Mare nostrum.
benhammou

La sala quasi deserta non fa ben sperare. Qualcuno mi dice che le notti palermitane sono troppo affascinanti e che mal si conciliano con orari mitteleuropei. In effetti, più l’orario avanza, più la sala va riempiendosi. “Mediterraneo e sicurezza: il ruolo dell’Unione europea”: tema sensibile che tocca nervi scoperti, dicevamo ieri. Il primo panel (gruppo di relatori) è di particolare attualità: “migrazioni e dialogo mediterraneo”.

 

Apre il dibattito Mohammed Benhammou, professore all’Università Mohammed V di Rabat-Souissi, esperto internazionale nei settori della sicurezza e del terrorismo e presidente del Centro marocchino di studi strategici. Il suo intervento è molto atteso proprio per la particolare prospettiva e punto di vista. Infatti Benhammou va subito al sodo proponendo un ruolo decisivo all’Europa, che deve accompagnare e sostenere questa svolta in atto nel Nord Africa e non solo seguirne i mutamenti. «Il Mediterraneo – dice Benhammou – oggi rischia di divenire un mare di separazione. Ma bisogna essere sinceri: il Nord è sempre un sogno per il Sud, e il Sud oggi è un incubo per il Nord». E il rischio è che gli sbarchi sulle nostre coste facciano dimenticare ben altri problemi. Giusto per ricordarlo: in Libia lavoravano un milione di egiziani, 120 mila marocchini e altrettanti tunisini. Tutte persone che con la crisi libica sono rientrate nei propri Paesi. «Ma – aggiunge Benhammou – vi sono nuovi candidati per l’immigrazione clandestina, e che provengono dai paesi sub-sahariani». Se gli si chiede qual è l’errore della Unione europea in questa circostanza, risponde con immediatezza: «Gli europei vedono tutto ciò come un problema di politica interna. Invece di rispondere come Unione europea, propone risposte e azioni singole». Una risposta che mi convince parecchio, perché forse il peccato più grave che come europei stiamo consumando in questa faccenda è quello di omissione: di non saper esprimere un’idea adulta e unitaria europea.

 

Certamente, quando si parla di immigrazione e Mediterraneo, non si può prescindere dalla questione demografica sbilanciata a sfavore del vecchio continente, che non gioca a favore di una soluzione a breve termine: l’Onu prevede che tra dieci avverrà il sorpasso dell’India nei confronti della Cina in quanto ad abitanti, e che insieme rappresenteranno ben il 36 per cento della popolazione mondiale. E l’Europa avrà un tasso di crescita pari allo 0,1 per cento, l’Asia dell’1 per cento e l’Africa del 2,4 per cento. Due conti e si comprende che entro i prossimi 30 anni la popolazione dell’Africa sarà raddoppiata.

 

L’eurodeputato José Ignacio Salafranca Sanchez-Neyera, coordinatore del gruppo Ppe per la commissione Affari esteri al Parlamento europeo, porta altri dati: «L’Europa nel 2010 ospitava 257 mila rifugiati, e ben il 90 per cento di loro si trovava concentrato in 10 Stati». L’Unione Europea ha ospitato 5 mila rifugiati, quando gli Stati Uniti, nello stesso periodo, ne hanno ospitato 75 mila. Certo i numeri non sempre esprimono bene la solidarietà, ma in questo caso non riflettono una bella immagine di noi europei.

 

Concretamente, cosa si aspetta il Mediterraneo da noi? «Oggi l’errore dell’Europa – dice Benhammou – è vedere l’Africa del Nord come un unico blocco, e l’immigrazione come un fardello di cui ciascuno si vuole disfare. Noi vogliamo essere partner a pari dignità con l’Europa, non i poliziotti dell’Europa». Tematiche forti e richieste altrettanto forti. Ma ad una condizione: che se non si lavora per favorire la libertà anche religiosa e la legalità in tutta l’area del Mediterraneo, nulla di positivo potrà avere futuro.

 

Nel secondo panel, dedicato alla “cooperazione giudiziaria, lotta alla criminalità organizzata, al riciclaggio di denaro e al narcotraffico” altro argomento ma identica questione di fondo: l’Unione europea deve trovare la voglia e la capacità di contrastare le criminalità organizzate in unità. Il costo della mafia in Italia, è bene ricordarlo, corrisponde a 100 milioni di euro: in poche parole, il fabbisogno di un anno per il nostro servizio sanitario nazionale. Ma nel resto d’Europa le cose non vanno meglio: per cui «l’obiettivo – dice l’eurodeputato Salvatore Iacolino, vicepresidente della commissione Libertà civili, giustizia e affari interni – è armonizzare le varie legislazioni degli Stati membri e giungere ad un’idea unica e condivisa di lotta alle mafie, perché manca ancora un coordinamento europeo». Aled Williams, presidente EuroJust (Unità di coooperazione giudiziaria dell’Unione europea, organo istituito nel 2002 allo scopo di promuovere il coordinamento di indagini e procedimenti giudiziari fra gli Stati membri nella loro azione contro le forme gravi di criminalità organizzata e transfrontaliera), confida in una nuova stagione. «Dal prossimo 4 giugno – dice infatti Williams – tutti gli Stati dell’Unione avranno l’obbligo di fornire informazioni sulle loro indagini sulla criminalità organizzata. Ma ancora oggi solo in 4 Stati su 27 è prevista la confisca dei beni».

 

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, nel tracciare le conclusioni della mattinata, suggerisce un metodo per affrontare globalmente queste questioni: «Più l’Europa riuscirà ad essere un interlocutore unico nella lotta alle criminalità organizzate, più troverà il suo ruolo anche internazionale». Se per il Sud del mondo il Nord è sempre un sogno, e per il Nord il Sud è sempre un incubo, la via proposta potrebbe aiutare a riportare nell’area del Mediterraneo la serenità necessaria a garantire una transizione veloce alle comunità nord africane che chiedono libertà, dignità e sviluppo.

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