Parole O_Stili, per connetterci agli altri

Le persone oggi comprendono il valore delle parole? Lo abbiamo chiesto a Tiziana Montalbano, responsabile comunicazione digital di Parole O_Stili e una dei 13 membri di questa associazione no-profit nata a Trieste nell'agosto 2016
Ragazzi al lavoro sul "Manifesto della comunicazione non ostile" (Fonte Parole O_Stili)
Tiziana Montalbano
Tiziana Montalbano

Prima che nascesse il progetto, Tiziana Montalbano lavorava per l’agenzia di Rosy Russo, la mente e il cuore di quella che oggi è Parole O_Stili, ed è stata proprio la sua titolare a coinvolgerla in questa speciale missione: «ridefinire lo stile con cui le persone stanno in Rete, diffondere l’attitudine positiva a scegliere le parole con cura e la consapevolezza che le parole sono importanti».

Qual è stata la spinta che ha dato origine a questo movimento?
Parole O_Stili nasce da un’esigenza sul campo. Con l’agenzia ci occupavamo di social media già da anni e riscontravamo nel linguaggio sui social e sul web ogni giorno sempre più problemi: il linguaggio andava sempre più a deteriorarsi. Quindi ci siamo chiesti: quale contributo possiamo dare noi per invertire questo trend? Allora Rosy Russo ha chiamato a raccolta circa cento comunicatori tra cui giornalisti, politici, responsabili di marketing, ecc. e insieme agli utenti della Rete hanno contribuito alla nascita dei dieci principi del “Manifesto della Comunicazione non ostile”, la nostra bussola.

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Parlando del Manifesto della Comunicazione non ostile, c’è un punto più importante?
Non ce n’è uno più importante, ma ce n’è uno che dà le basi su cui costruire tutto il resto, cioè il primo: «Virtuale è reale. Dico e scrivo in Rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona». Questo fa da minimo comun denominatore a tutti gli altri principi del Manifesto. Ad oggi viviamo le nostre vite online e non c’è divisione tra Rete e realtà: se non c’è una chiara distinzione il resto dei principi lasciano il tempo che trovano.

Il Manifesto dice: «Le parole sono un ponte. Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri». Eppure, nell’ambiente della comunicazione, spesso non è così per tutti…
Spesso non è così perché questo richiede uno sforzo, quindi è più facile rinchiudersi nella propria bolla mediatica e allontanarsi, mentre trovare parole di unione e che ci permettono di entrare in contatto con gli altri richiede uno sforzo di tempo e di energie emotive. Per superare la barriera del non verbale e del non-detto della comunicazione online dobbiamo scegliere le parole con cura, perché sono lo strumento più importante che abbiamo per connetterci agli altri, come comunicatori ma anche come singoli utenti.

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Fate molti interventi rivolti ad educatori, bambini e ragazzi per aiutarli a usare un linguaggio non ostile. Come si possono trasmettere alle nuove generazioni l’amore e la cura per le parole?
Questo è un compito che spetta all’uomo da sempre. Nel nostro caso cerchiamo di dare agli insegnanti degli strumenti che li possano agevolare. In primo luogo, cerchiamo di colmare il vuoto che gli insegnanti hanno in merito alle competenze digitali. Poi li formiamo per far diventare gli strumenti digitali anche strumenti per la didattica scolastica. Quello che facciamo noi con gli insegnanti, quindi, è parlare con loro affinché si facciano tramite con i ragazzi e possano affermare direttamente il loro ruolo educativo su di loro.

E con gli adulti? Come si possono educare a un linguaggio non ostile?
Con gli adulti è più difficile. Sono nati in un’epoca analogica e hanno adattato le loro abitudini ad un’epoca digitale, al contrario dei giovani che sono nati in un’epoca digitale e non hanno mai vissuto la differenza tra reale e virtuale; infatti i ragazzi sanno bene che c’è un dentro e un fuori dal telefono. Per gli adulti, invece, è difficile immaginare un continuo tra dentro e fuori la Rete e non capiscono che a volte le parole lanciate sui social possano ferire e far star male.

Anche molti personaggi famosi hanno firmato il Manifesto. La maggior parte di questi sono politici. Secondo lei, una politica che adotti un linguaggio non ostile è un’utopia?
Non credo sia un’utopia, ma una inversione di tendenza che richiede tempo. Siamo in un’epoca comunicativamente un po’ sciagurata, dove l’insulto e l’aggressività pagano e permettono di pensare di meno e assumersi meno responsabilità. La politica dell’insulto è la politica dello scaricabarile. Invece, uno stile politico che si assume le sue responsabilità, che porta avanti una politica di riflessione e approfondimento ha bisogno di sforzo, tempo, concentrazione e comprensione. Sapendo che il mondo va velocemente, spesso le due cose sono difficili da conciliare, ma è nostro dovere chiedere alle istituzioni che adottino uno stile più rispettoso per le cariche che ricoprono e per un’ecologia del dibattito e del confronto che sia più sostenibile per tutti.

Secondo lei, le persone comprendono il valore delle parole e il valore della loro scelta?
Spesso comprendiamo il valore delle parole quando c’è un’esperienza che ci coinvolge direttamente, quando ci toccano personalmente perché sappiamo che a volte possono causare sofferenza. Però è una domanda forse troppo generalizzante quindi risponderei “dipende”, perché le persone possono cogliere determinati messaggi in un modo diverso a seconda di diversi fattori. Le parole sono molto personali e per questo motivo vanno scelte con cura, perché non sappiamo mai le storie, i vissuti e le esperienze della persona che abbiamo di fronte, quindi è nostra responsabilità farci rappresentare dalle parole migliori soprattutto per rispettare gli altri.

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