Parole chiave per il Nord e il Sud

Quarto e ultimo appuntamento con “Il nostro sud in un paese reciprocamente solidale”. Una bussola per orientarsi nel dibattito sull'Italia e sul federalismo.
Bregantini

«Sarà allora prezioso, nell’aiuto al lettore, riprendere le parole-chiave presenti nei diversi capitoletti e collegarle ai passaggi più significativi del documento dei vescovi Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno. Diverrà così un testo ancora più vivo per tutti i cittadini». Ai lettori l’onere di confutare l’autorevole tesi. Apprezzamenti, critiche e suggerimenti su questo libro sono attese con riconoscenza da chi ha avuto la felice opportunità di dialogare con il protagonista del lavoro: ploriga@cittanuova.it.

 

Precarietà, resa, fuga

«Il problema del lavoro, soprattutto giovanile, è attraversato da una “zona grigia” che si dibatte tra il non lavoro, il “lavoro nero” e quello precario (…). Il flusso migratorio dei giovani, soprattutto fra i venti e i trentacinque anni, verso il Centro-Nord e l’estero, è la risultante delle emergenze sopra accennate. Oggi sono anzitutto figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale categoria dei nuovi emigranti. Questo cambia i connotati della società meridionale, privandola delle risorse più importanti e provocando un generale depauperamento di professionalità e competenze, soprattutto nei campi della sanità, della scuola, dell’impresa e dell’impegno politico».

 

Il gusto dei giovani

«Sono soprattutto i giovani, infatti, ad aver ritrovato il gusto dell’associazionismo – tuttora particolarmente vivace in queste regioni –, dando vita a esperienze di volontariato e a reti di solidarietà, non volendo più sentirsi vittime della rassegnazione, della violenza e dello sfruttamento. Per questo sono scesi in piazza per gridare che il Mezzogiorno non è tutto mafia o un luogo senza speranza. I loro sono volti nuovi di uomini e donne che si espongono in prima persona, lavorano con rinnovata forza morale al riscatto della propria terra, lottano per vincere l’amarezza dell’emigrazione, per debellare il degrado di tanti quartieri delle periferie cittadine e sconfiggere la sfiducia che induce a rinviare nel tempo la formazione di una nuova famiglia».

 

Unità d’Italia

«In questo senso, l’imminente ricorrenza del centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale ci ricorda che la solidarietà, unita alla sussidiarietà, è una grande ricchezza per tutti gli italiani, oltre che un beneficio e un valore per l’intera Europa18. Proprio per non perpetuare un approccio assistenzialistico alle difficoltà del Meridione, occorre promuovere la necessaria solidarietà nazionale e lo scambio di uomini, idee e risorse tra le diverse parti del Paese. Un Mezzogiorno umiliato impoverisce e rende più piccola tutta l’Italia».

 

Le mafie

«La criminalità organizzata non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto a una forte limitazione, se non addirittura all’esautoramento, dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici, favorendo l’incremento della corruzione, della collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro, manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema delle autorizzazioni e concessioni, contaminando così l’intero territorio nazionale».

 

Cultura mafiosa

«In questi ultimi vent’anni le organizzazioni mafiose, che hanno messo radici in tutto il territorio italiano, hanno sviluppato attività economiche, mutuando tecniche e metodi del capitalismo più avanzato, mantenendo al contempo ben collaudate forme arcaiche e violente di controllo sul territorio e sulla società. Non va ignorato, purtroppo, che è ancora presente una cultura che consente loro di rigenerarsi anche dopo le sconfitte inflitte dallo Stato attraverso l’azione delle forze dell’ordine e della magistratura. C’è bisogno di un preciso intervento educativo, sin dai primi anni di età, per evitare che il mafioso sia visto come un modello da imitare».

 

La tentazione di tacere

«Si deve riconoscere che le Chiese debbono ancora recepire sino in fondo la lezione profetica di Giovanni Paolo II e l’esempio dei testimoni morti per la giustizia. Tanti sembrano cedere alla tentazione di non parlare più del problema o di limitarsi a parlarne come di un male antico e invincibile. La testimonianza di quanti hanno sacrificato la vita nella lotta o nella resistenza alla malavita organizzata rischia così di rimanere un esempio isolato».

 

(da Il nostro Sud in un Paese reciprocamente solidale. In dialogo con Paolo Loriga di GianCarlo Bregantini, Città Nuova 2010)

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