Parola di vita – Settembre
«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza» (Gc 1,21).
La Parola di questo mese proviene da un testo attribuito a Giacomo, figura di rilievo nella Chiesa di Gerusalemme. Egli raccomanda al cristiano la coerenza tra il credere e l’agire.
Nel brano iniziale della lettera viene sottolineata una condizione essenziale: liberarsi da ogni malizia per accogliere la Parola di Dio e lasciarsi guidare da essa per camminare verso la piena realizzazione della vocazione cristiana.
La Parola di Dio ha una forza tutta sua: è creatrice, produce frutti di bene nella singola persona e nella comunità, costruisce rapporti di amore tra ognuno di noi con Dio e tra gli uomini.
Essa, dice Giacomo, è stata già “piantata” in noi.
«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza».
Come? Certamente perché Dio, fin dalla creazione, ha pronunciato una Parola definitiva: l’uomo è sua “immagine”. Ogni creatura umana infatti è il “tu” di Dio, chiamato all’esistenza per condividere la sua vita di amore e comunione.
Ma, per i cristiani, è il sacramento del battesimo che ci inserisce in Cristo, Parola di Dio entrata nella storia umana.
In ogni persona dunque egli ha deposto il seme della sua Parola, che lo chiama al bene, alla giustizia, al dono di sé e alla comunione. Accolto e coltivato con amore nella propria “terra”, è capace di produrre vita e frutti.
«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza».
Luogo chiaro dove Dio ci parla è la Bibbia, che per i cristiani ha il suo vertice nei Vangeli. Occorre accogliere la sua Parola nella lettura amorosa della Scrittura e, vivendola, possiamo vederne i frutti.
Possiamo ascoltare Dio anche nel profondo del nostro cuore, dove avvertiamo spesso l’invadenza di tante “voci”, di tante “parole”: slogan e proposte di scelte, modelli di vita, come anche preoccupazioni e paure… Ma come riconoscere la Parola di Dio e darle spazio perché viva in noi?
Occorre disarmare il cuore ed “arrenderci” all’invito di Dio, per metterci in un libero e coraggioso ascolto della sua voce, spesso la più sottile e discreta.
Essa ci chiede di uscire da noi stessi e di avventurarci per le strade del dialogo e dell’incontro, con lui e con gli altri, e ci invita a collaborare per rendere l’umanità più bella, in cui tutti ci riconosciamo sempre più fratelli.
«Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza».
La Parola di Dio infatti ha la possibilità di trasformare il nostro quotidiano in una storia di liberazione dall’oscurità del male personale e sociale, ma attende la nostra adesione personale e consapevole, anche se imperfetta, fragile e sempre in cammino.
I nostri sentimenti e i nostri pensieri assomiglieranno sempre più a quelli di Gesù stesso, si rafforzeranno in noi la fede e la speranza nell’Amore di Dio, mentre i nostri occhi e le nostre braccia si apriranno alle necessità dei fratelli.
Così suggeriva Chiara Lubich nel 1992: «In Gesù si vedeva una profonda unità tra l’amore che egli aveva per il Padre celeste e l’amore verso gli uomini suoi fratelli. C’era un’estrema coerenza tra le sue parole e la sua vita. E questo affascinava e attirava tutti. Così dobbiamo essere anche noi. Dobbiamo accogliere con la semplicità dei bambini le parole di Gesù e metterle in pratica nella loro purezza e luminosità, nella loro forza e radicalità, per essere dei discepoli come li vuole Lui, cioè dei discepoli uguali al maestro: altrettanti Gesù diffusi nel mondo. E ci potrebbe essere per noi una avventura più grande e più bella?»[1].
[1] C. Lubich, Come il Maestro, in «Città Nuova» 36 (1992/4), p. 33.