Parola di vita Settembre
«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette»
(Mt 18,22).
Gesù con queste sue parole risponde a Pietro che, dopo aver ascoltato cose meravigliose dalla sua bocca, gli ha posto questa domanda: «Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? fino a sette volte?». E Gesù: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette».
Pietro, probabilmente, sotto l’influenza della predicazione del Maestro, aveva pensato di lanciarsi, buono e generoso com’era, nella sua nuova linea, facendo qualcosa di eccezionale: arrivando a perdonare fino a sette volte. […]
Ma Gesù rispondendo: «…fino a settanta volte sette», dice che per lui il perdono deve essere illimitato: occorre perdonare sempre.
«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette».
Questa Parola fa ricordare il canto biblico di Lamech, un discendente di Adamo: «Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette». Così inizia il dilagare dell’odio nei rapporti fra gli uomini del mondo: ingrossa come un fiume in piena.
A questo dilagare del male, Gesù oppone il perdono senza limite, incondizionato, capace di rompere il cerchio della violenza.
Il perdono è l’unica soluzione per arginare il disordine e aprire all’umanità un futuro che non sia l’autodistruzione.
«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette».
Perdonare. Perdonare sempre. Il perdono non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l’ha commesso. Il perdono non consiste nell’affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza.
Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell’accogliere il fratello e la sorella così com’è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all’offesa con l’offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male».
Il perdono consiste nell’aprire a chi ti fa del torto la possibilità d’un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d’aver un avvenire in cui il male non abbia l’ultima parola.
«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette».
Come si farà allora a vivere questa Parola?
Pietro aveva chiesto a Gesù: «Quante volte dovrò perdonare a mio fratello?».
E Gesù, rispondendo, aveva di mira, dunque, soprattutto i rapporti fra cristiani, fra membri della stessa comunità.
È dunque prima di tutto con gli altri fratelli e sorelle nella fede che bisogna comportarsi così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o nella comunità di cui si fa parte.
Sappiamo quanto spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l’offesa subita.
Si sa come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sono frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene, occorre ricordare che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l’unità tra fratelli.
Ci sarà sempre la tendenza a pensare ai difetti delle sorelle e dei fratelli, a ricordarsi del loro passato, a volerli diversi da come sono… Occorre far l’abitudine a vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre, subito e fino in fondo, anche se non si pentono.
Si dirà: «Ma ciò è difficile». Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla siamo alla sequela di Cristo che, sulla croce, ha chiesto perdono al Padre per coloro che gli avevano dato la morte, ed è risorto.
Coraggio. Iniziamo una vita così, che ci assicura una pace mai provata e tanta gioia sconosciuta.
Pubblicata per intero in Città Nuova n. 1990/15-16.