Parmalat, il segreto del rilancio

Non sembra proprio la sede del male, né la capitale della madre di tutte le truffe, come un po’ goliardicamente fu definito dai mezzi d’informazione. Colpisce piuttosto l’ordinato sviluppo del paese. Abitazione a due piani, giardino, cancello; abitazione a due piani, giardino, cancello. Una dopo l’altra. Così in via Rosselli, in via Caduti del lavoro, in via Spezia. Così altrove. Case basse, solide, linde. Come tutta Collecchio. Un benessere nient’affatto ostentato, ma segnalato da alcune presenze: gli abitanti della cittadina non arrivano ad 8 mila, eppure ci sono tre negozi d’arredamento per interni di qualità, altrettante agenzie di viaggi e un grappolo di agenzie bancarie, con l’edifico della Cassa di risparmio di Parma e Piacenza in vetro fumé e gigantesca insegna in acciaio. Due anni fa la bufera finanziaria della Parmalat piegò certezze acquisite, prospettive solide, legittimi orgogli collettivi. La Parmalat era Collecchio e Collecchio la Parmalat. Abbiamo vissuto come un paese in lutto. Siamo rimasti sbigottiti. Non era stato toccato solo qualcuno, eravamo feriti come comunità. Ci siamo sentiti traditi da chi aveva ricevuto la nostra fiducia. Li conosciamo da quando erano ragazzi. Come hanno potuto fare certe cose?. I collecchiesi ricordano così gli stati d’animo di quegli amari giorni di dicembre 2003. Un grande tradimento, ma reazioni composte. Non c’è stata una famiglia che abbia preteso di escludere i figli degli imputati nelle attività scolastiche. Nessuno ha scagliato il sasso. Ciascuno è stato trattato come aveva trattato gli altri, riferiscono più persone. E il patron Calisto Tanzi, sempre disponibile, sempre alla mano, cordiale e pronto a venire incontro alle tante richieste, gode ancora di considerazione. Se ha sbagliato, dovrà pagare, assicurano tutti. Ma permane un atteggiamento d’indulgenza: È un uomo della produzione. Si è fidato del potere della finanza o dei suoi responsabili finanziari. Forse non aveva la percezione di certe operazioni. Un po’ di risentimento serpeggia ancora, dopo la rabbia degli inizi, tra quanti avevano investito parte dei risparmi o tutta la buonuscita in azioni Parmalat. Erano convinti della solidità finanziaria dell’azienda. Da allora a far compagnia ai collecchiesi sono arrivati un centinaio di revisori e una decina d’esperti della Guar-dia di finanza. Stanno passando al setaccio i documenti della Parmalat per ricostruire ogni dettaglio del buco da 14 miliardi di euro. Sono insediati nelle due palazzine, color giallo tenue, della stretta via Oreste Grassi 26, sede storica della famiglia Tanzi, sin da quando il nonno commerciava in salumi. Qui, 40 anni fa, il giovane Calisto, sotto l’insegna Parmalat, intuì che il futuro del latte sarebbe stato la lunga conservazione e i contenitori in cartone. Collecchio è diventata nota per un’azienda leader mondiale, presente in 30 paesi. C’è sempre stato un sentimento d’orgoglio dei dipendenti Parmalat. Erano consapevoli della qualità del prodotto, del grado d’innovazione e dei risultati di una ricerca avanzata. Lo spazio crescente sul mercato internazionale e le numerose acquisizioni di aziende estere erano continue conferme. Ai primi segnali della tempesta, i lavoratori hanno, perciò, fatto quadrato intorno allo stabilimento di Scodoncello, al centro ricerche di Castellano e alla sede amministrativa: Noi continuiamo a lavorare indipendentemente da quanto fatto da Tanzi. Nessuna manifestazione di lavoratori, non un’ora di sciopero, nemmeno uno striscione di maestranze angosciate. Tutti al lavoro per salvare un’azienda e il proprio futuro. Parmalat significa indennità di trasporto, latte gratuito, 14 mensilità, premio aziendale e premi di produzione; gli autobus dell’azienda vanno a prendere i lavoratori fin sull’Appennino. Sono quasi un migliaio quelli che lavorano nelle sedi di Collecchio. La dirigenza, ritenuta implicata, è stata sostituita. È stato un bene – commenta Daniela Incerti, segretario provinciale della Cisl -. La precedente non brillava per competenza. Tanzi nominava dirigenti persone amiche, di cui si fidava, piuttosto che altri con reali capacità manageriali. Valutazione, questa, confermata da altri osservatori. La cura del commissario straordinario Bondi ha tagliato rami ritenuti secchi, soprattutto all’estero, ha venduto i cosiddetti prodotti da forno, dalle merendine ai biscotti, e quelli conservieri, ritenuti non competitivi, per concentrare la produzione su due filoni, il latte e suoi derivati, i succhi di frutta. L’azienda dolciaria Streglio è stata venduta, come lo saranno Parmatour (operatore turistico con 300 dipendenti, 200 dei quali a Parma) e la squadra calcio Parma. Al momento, il gruppo di Collecchio è una multinazionale più leggera e più italiana, con circa 2.500 dipendenti (compresi quelli della centrale del latte di Roma). Durante la benedizione delle case, poco dopo il crac, trovai tutti con il morale a terra, racconta il parroco, don Alfredo Chierici, vicino alla suggestiva chiesa romanica del paese, sulla via Francigena. Ora tutti sono più sereni. Nessuno dei dipendenti ha perso il lavoro, anche se non vanno dimenticati quelli del facchinaggio e dei trasporti, colpiti invece pesantemente. Confida un cruccio: Il crac ha messo in luce la logica della speculazione senza freni. Era l’occasione per riflettere a lungo su etica e finanza. I cristiani, e non solo loro, devono continuare ad interrogarsi. La vicenda ha comunque lasciato tracce positive: La gente ha vissuto uno stato di precarietà – afferma Marina Conti, vice-sindaco di Collecchio – che ha fatto maturare un’esperienza di condivisione, si è riconosciuta come comunità, ha ritrovato una sua identità. Se il titolo Parmalat è tornato in Borsa, se l’azienda ha avviato il suo rilancio, un merito particolare va al tavolo interistituzionale, un organismo messo in piedi all’esplodere della crisi e composto da rappresentanti dei lavoratori, delle istituzioni, dei fornitori, degli agricoltori, degli altri stabilimen- ti, assieme ai parlamentari nazionali dei due schieramenti eletti nella zona. Il tavolo ha funzionato anche come raccordo con il governo nazionale, le Camere e il risanatore Bondi. Il tavolo è stato riconosciuto subito come il luogo del confronto – spiega il promotore e coordinatore, Giuseppe Romanini, sindaco di Collecchio -. Consentiva di mettere in comunicazione le esigenze di tutte le parti. Non mancano episodi eloquenti. Nei primi giorni della tormenta, la Parmalat ha finito la soda per pulire gli impianti. Ma non ha liquidità. Ebbene, altre aziende alimentari della zona si sono mobilitate per i prestiti necessari, riuscendo nell’intento. L’esperienza è decisamente positiva dal punto di vista della collaborazione e dei rapporti tra tutti. Nella provincia è spesso richiamata come un esempio, continua il sindaco. E aggiunge: È stato determinante essere riusciti a fare rete tra tutti. C’è fiducia nel futuro e in un Bondi nominato amministratore delegato della nuova azienda. Dai lavoratori è ritenuto una garanzia per la solidità e la trasparenza dell’azienda. Per i risparmiatori, l’uomo che può continuare a perseguire con decisione le azioni legali contro banche e revisori che hanno avuto un ruolo nel crac. Resta un timore. Che una Parmalat tornata appetibile possa essere acquisita da qualcuno dei pretendenti, Granarolo o Nestlé, o il gigante francese Lactalis. La speranza, invece, è riposta nella possibilità di crescere in modo da diventare, per dirla con Bondi, polo aggregante e attore globale nel settore alimentare. Si guarda perciò avanti, ma con i piedi per terra. E una certezza: Nessuno da solo – sottolinea la cislina Incerti -, sia come istituzioni, sia come sindacati, sia come associazioni di categoria, e forse neppure Bondi, avrebbe potuto ottenere i risultati raggiunti attraverso il tavolo. Quando la collaborazione è piena, si arriva alla meta. STILLICIDIO DI UN CRAC Fu un terremoto inatteso, ricorderete. E una sequenza di scosse non certo d’assestamento. Ognuna apriva voragini. Il 9 dicembre 2003 la Parmalat rende note le dimissioni del direttore generale finanziario, il giorno successivo è la volta di altri tre dirigenti centrali. Il 18 il cavaliere del lavoro Calisto Tanzi – recitava un comunicato Parmalat – ha annunciato la sua intenzione di rassegnare le dimissioni da presidente, amministratore delegato e consigliere. Immaginarsi le facce della gente di Collecchio. E il peggio doveva ancora arrivare. Aveva le sembianze di una nota del colosso creditizio Bank of America che, in data 19 dicembre, comunicava di aver disconosciuto l’autenticità di un documento del 6 marzo 2003 che attestava l’esistenza di posizioni in titoli e liquidità corrispondenti a circa 3.950 milioni di euro al 31 dicembre 2002 di pertinenza di Bonlat. Quel documento non autentico era però a fondamento del bilancio della Bonlat Financing Corporation, società con sede nell’Isola Cayman (un presagio quel nome), facente capo al gruppo Parmalat. In altre parole, un atto falso – attestante l’esistenza di una montagna di denaro – teneva in piedi la Bonlat e, a sua volta, il bilancio consolidato della multinazionale Parmalat. Collecchio ha vacillato, ma non sarebbe stata travolta dalla crisi Parmalat. Gli abitanti del comune sono 12.500, i posti di lavoro ben 8.500, oltre 5 mila nell’industria. Si producono prosciutti, formaggi e conserve. Aziende centenarie di trasformazione del pomodoro ne lavorano 400 mila tonnellate all’anno (10 per cento della produzione nazionale), i lavoratori stagionali sono 700. Rinomate alcune imprese meccaniche per gli impianti di lavorazione alimentare. Il settore informatico occupa oltre mille addetti.

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