A Parma città d’arte

Un centro di bellezza da riscoprire, dal medioevo al rinascimento.

La chiesa di san Giovanni evangelista, dietro al duomo, è ancora affidata ai benedittini. Ampia, graduata dalle arcate fra i pilastri, si apre sulla cupola del transetto in una visione di gloria. Antonio Allegri da Correggio vi ha affrescato nella cupola interna la Visione di san Giovanni evangelista. Un cielo sfondato, la cupola sembra aperta e risucchiata nell’oro su cui campeggia Cristo che discende per accogliere il vecchissimo Giovanni a Patmos dopo aver scritto l’Apocalisse. Cristo discende bianco e oro tra schiere di putti angelici, grandi apostoli distesi sulle nubi. E’ la prima volta di un cielo sfondato che aprirà la strada all’arte barocca dei soffitti pieni di angeli svolazzanti e di santi in estasi.

Chiesa di San Giovanni Evangelista di Parma. Foto: Wikimedia Commons

C’è la gioia del colore, dell’estasi, il paradiso che scende in terra a chiamare l’apostolo dell’amore. I corpi sono michelangioleschi ma Correggio vi imprime la sua nota calda, morbida che fa sentire la carne viva, i sentimenti aperti da buon emiliano. Correggio interpreta Michelangelo e Raffaello come vuole lui, cioè crea una umanità “umanissima” che fa del Cristo e dei santi persone vere, fisiche, dalla emotività chiara nel colore vibrante. All’epoca fu una rivoluzione e a dire il vero fa impressione anche adesso.

Si vede che è piaciuto il dipinto, se due anni dopo Correggio fu chiamato in duomo – la cattedrale romanica del 1092 – per decorare ancora la cupola, questa volta con l’Assunzione di Maria.

Dipinto di Correggio dell’Assunzione di Maria, cupola del Duomo di Parma

Il pittore si è spinto ancora più avanti. Il cielo si apre e sfolgora in un vuoto luminoso dove volteggia un angelo dal sotto in su. E Maria? La Vergine è trasportata da una folla angelica giubilante verso Dio somma luce tra cerchi di nuvole gonfie e candide. Più in basso una teoria di apostoli osserva stupita il trionfo. La cupola è un vortice di luci, colori, forme e corpi che corrono nello spazio, un inno a Maria fatto della festa del colore e del movimento. Ci vuole del tempo per distinguere nel coro angelico galoppante la figura della Vergine e questo deve essere dispiaciuto ai fabbricieri del duomo, tanto che il pittore lasciò l’opera che rompeva clamorosamente con la tradizione, circondando Maria di schiere voluttuose e scherzose nel trionfo dinamico del corpo, della salute e della gioia frenetica. In realtà, però, l’affresco come in san Giovanni, non è altro che la raffigurazione del Paradiso della resurrezione apparso qui fra noi, come pensava Correggio.

Il Duomo di Parma. Foto: Wikimedia Commons

Dopo aver ammirato il cielo aperto sull’umanità, ci si può raccogliere, in duomo, davanti al marmo del 1178 scolpito da Benedetto Antelami. Una Deposizione composta, stilizzata: il Cristo dalle braccia lunghissime, abnormi, viene abbracciato da Giuseppe d’Arimatea e dato alla Madre. Una pietas solenne, composta e semplice che forse ha ispirato i cori religiosi verdiani, il musicista che qui è di casa, dal Teatro Regio all’Istituto di studi verdiani ai ristoranti. Il marmo traspare sobria tenerezza come il rosa e il bianco del Battistero romanico, scolpito dall’Antelami – alcuni marmi si trovano nell’ordinato Museo Diocesano in piazza -e decorato da affreschi bellissimi medievali: un altro mondo. Come i dipinti del genio folle Parmigianino nella chiesa della Steccata: sei Vergini sagge e stolte, modelle in sfilata raffinatissime e quasi danzanti. Un trionfo dell’estro e della fantasia. Scandalizzarono i committenti che imprigionarono anche il pittore della “grazia” e dell’eleganza. Più spericolato del Correggio, e più libero. A Parma l’arte funziona anche così. Vederlo pure in Pinacoteca, alla Pilotta col suo Teatro Farnese in legno di abete.

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