Parliamo di tori
L’ultimo caso di protesta da parte dei gruppi animalisti, che ha avuto grande eco sui media, è accaduto in Portogallo. Il comune di Póvoa de Varzim, città di oltre 60 mila abitanti a Nord di Porto, prima dell’estate aveva vietato gli spettacoli taurini con l’argomento che il recinto dove avrebbero dovuto svolgersi gli appuntamenti non offriva le misure di sicurezza necessarie. Probabilmente era vero, ma dietro la motivazione era facile intravedere la pressione degli animalisti. Ed ecco che diverse associazioni taurine hanno deciso di portare il caso in tribunale e hanno vinto: il Tribunale amministrativo e fiscale di Porto ha dichiarato ora incostituzionale la decisione del Comune. La sentenza arriva però in ritardo, perché il periodo per questi spettacoli è già passato. E tuttavia la Federazione portoghese di tauromachia si dice soddisfatta: «È chiaro che d’ora in poi nessun Comune portoghese potrà vietare gli spettacoli taurini perché viola i diritti e le libertà dei cittadini».
Sia in Portogallo che in Spagna è da qualche tempo che diversi gruppi ecologisti o animalisti, in qualche occasione anche con sostenitori parlamentari, si danno da fare per evitare che gli animali (tori, capre, cani, anatre, galline…) siano le “vittime” che alimentano il divertimento degli spettatori. In certi casi ci sono riusciti, come “il salto della capra”, buttata dall’alto del campanile della chiesa in un paesino spagnolo, vietato dal 2002, o il “toro della Vega” inseguito e ferito a colpi di lancia da vari cavalieri, vietato dal giugno scorso. Comunque con i tori ci sono tanti interessi in gioco che neppure le pressioni più forti riescono a sconfiggere. La “anti-tauromachia” è vecchia quanto gli stessi spettacoli taurini. Spiega Alberto de Jesús, giornalista filo-taurino: «Le feste con i tori hanno subito durante la loro esistenza numerosi attacchi da parte di governanti politici, oppositori e persino della Chiesa per tentare di eliminarle, e tutti hanno fallito», e non solo nei tempi moderni.
Interessi di tipo culturale, sociale e soprattutto economico sono quelli che sostengono gli spettacoli taurini, a scapito dei loro detrattori. Uno studio elaborato dall’Università di Extremadura, pubblicato nel 2016, volendo mettere l’accento sui numeri dell’industria del toro, a partire dei dati del 2013, afferma che la “Fiesta” genera 200 mila posti di lavoro, dei quali 57 mila sono diretti. I professionisti del settore versano al sistema pubblico delle pensioni oltre 12 milioni di euro annui. Lo Stato, poi, raccoglie 43 milioni attraverso l’Iva, tre volte più che col cinema, perciò la corrida è la manifestazione culturale che genera maggiori entrate fiscali. Quasi 25 milioni di persone avevano assistito quell’anno alle corride, più del doppio di coloro che frequentano il teatro o il cinema. Infine, l’impatto economico totale della tauromachia, tenendo conto di tutti i fattori, nel 2013 ha oltrepassato 1.600 milioni, lo 0,16% del Pil.
E i tori cosa ne penseranno?