Parlare di povertà e ricchezza in Italia

Alcuni elementi per inquadrare la questione del potere e della   povertà che Loppiano Lab declina come powertà. L'esigenza di un discorso pubblico capace di ribaltare i luoghi comuni su cause e origini della crescente diseguaglianza 
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C'è un grande dibattito che, pur se necessario, stenta ad emergere nel nostro Paese. 

La crescita della diseguaglianza economica, con la concentrazione della ricchezza in una fascia sempre più ristretta della popolazione, è l'effetto del modello economico prevalente degli ultimi decenni che ha finito per colonizzare il senso comune fino ad estinguere ogni pretesa di poter cambiare il mondo secondo giustizia.

 

Siamo davanti a un fenomeno dirompente che alimenta la disgregazione sociale e lo smarrimento esistenziale costruendo modelli di esclusione del diverso ( a cominciare dai migranti) e logiche autodistruttive, che sono i tanti effetti  della privazione dei beni non solo materiali.

Gli appelli di Francesco contro "l'idolatria del denaro" e "l'economia che uccide" invitano ad andare alla radice dell'ideologia che ha prodotto la condizione attuale e la progressiva assuefazione della coscienza collettiva verso la rinuncia ad agire in nome della giustizia sociale.

 

Fermo restando la priorità da dare all’uscita dal disagio tramite il lavoro dignitoso e non certo la logica assistenziale che deresponsabilizza e umilia, resta il fatto che nell’Italia avvolta dal gelo demografico, diminuisce l’aspettativa di vita, 11 milioni di persone non si curano per carenze di soldi, il sovra indebitamento è una piaga nascosta per molte famiglie che restano escluse dal reddito dignitoso o dalla stessa occupazione.

Quali sono le azioni concrete e ragionevoli da proporre per ribaltare le condizioni di progressiva deprivazione anche della classe media e la concentrazione della ricchezza in poche mani? 

Le nuove forme di mutualismo, la prossimità reale e generosa non possono legittimare una risposta compassionevole o che arriva dall’alto. Una strada diversa è possibile a partire dalla condivisione di tutte quelle realtà attraversate da un’esigenza profonda della coscienza che non si ferma all’indignazione. La stessa che muoveva ad esempio Giorgio La Pira nel trovare concrete vie di uscita dalla miseria[1]. Si tratta, come afferma l’articolo 3 della Costituzione, di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori (non si concepiscono assistiti o chi vive di rendita, ndr)  all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

 

Loppiano Lab è uno dei luoghi dove poter sperimentare questa esigenza di condivisione, secondo la logica di accoglienza e dialogo del Movimento dei Focolari, per cercare ancora e avviare percorsi degni della dignità della condizione umana in questo inizio di millennio.

Cfr dossier Povertà edito da Città Nuova

nella foto di Ansa/Ap manifestazione dei lavoratori Alcoa in Sardegna che rischiano di restare senza occupazione



[1]
«Quando Cristo mi giudicherà io so di certo che Egli mi farà questa domanda unica: Cosa hai fatto per sradicare dalla società, nella quale ti ho posto come regolatore e dispensatore del bene comune, la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne è la causa fondamentale?…Non potrò addurre a scusa della mia inazione o della mia inefficace azione, le “ragioni scientifiche” del sistema economico fondato su un gruppo di pretese “leggi” inviolabili! – si dice! – come le leggi vere, quelle della natura fisica. Non potrò dire : Signore non sono intervenuto per non turbare il libero gioco delle forze di cui consta il sistema economico: per non violare la norma “ortodossa” che regola la circolazione monetaria: ho lasciato nella fame alcuni milioni di persone , ho dovuto temporeggiare perché certe regole di prudenza monetaria ( cioè della “mia” prudenza monetaria) mi impedivano di rispondere organicamente e rapidamente alla domanda dolorosa di lavoro e di pane che mi veniva con tanta urgenza da tante labbra. No: non potrò addurre a mia giustificazione queste risposte. Il fatto resta: “ho avuto fame e non mi hai dato da mangiare”.

E se Egli mi accusasse invece di pigrizia mentale? E se anche in quel giorno unico mi venisse fatto cenno di altre tecniche economiche e finanziarie, di altri strumenti politici, a me noti, mediante l’uso dei quali si sarebbe forse potuto dar risposta positiva a tante domande angosciose?»

 

Giorgio La Pira “L’attesa della povera gente” 1950

 

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