Parlare chiaro
Un giovane studente di giurisprudenza a propostito di politica e l'editoriale su "Inclassificabili cristiani".
Sono un giovane che studia giurisprudenza e ho letto con molto interesse l’articolo intitolato “Cristiani e perciò inclassificabili”, da cui ho tratto alcuni spunti per una riflessione; scrutando il panorama mediatico italiano capita frequentemente di imbattersi nelle molteplici sembianze dell’intolleranza che si manifesta sia sottoforma del fondamentalismo religioso che dell’integralismo laicista. Sotto questo profilo è apprezzabile nonché importante la valenza che una rivista come Città Nuova ha nella non facile opera di ricerca del significato e del senso più autentico e profondo dell’essere cristiani.
Sulle onde di questa ricerca vorrei lasciarmi andare ad alcune considerazioni generali di carattere meramente politico e che attengono per così dire alla “deontologia” civica del cristiano. Posto che non trovo utile gettare l’àncora negli errori del passato, bisogna peraltro prendere atto consapevolmente che la Chiesa ha avuto una sua parte nel contribuire a rafforzare tale sistema politico. È altrettanto giusto constatare comunque le nette prese di distanza del cardinal Tettamanzi, di monsignor Crociata e della cardinal Bagnasco dalla xenofobia, dall’immoralità della politica e dall’evasione fiscale. È bene altresì ammettere pacificamente quelli che sono i limiti della Chiesa che, giova ricordarlo, è pur sempre un’entità statale, e nonostante il suo status giuridico sui generis sia funzionale all’autonomia del papa, è chiaro che quando si rapporta con un altro stato lo fa su un piano paritario secondo la logica e le forme della diplomazia internazionale sempre ribadendo ovviamente quella che è la sua peculiare funzione spirituale.
Sono cosciente del fatto che Città Nuova abbia dei vincoli dettati dai rapporti interistituzionali e che venga privilegiato comprensibilmente l’aspetto formativo (il suo punto di forza). Detto ciò, entra in gioco il cristiano in quanto civis. Ricordo quanto sosteneva Don Milani: “non serve a nulla avere le mani pulite se poi le si tengono in tasca”. Come cittadino ha il dovere di spingersi oltre certi limiti e di “sporcarsi” le mani scavando a fondo alla ricerca della verità storica oltre che morale. Ritengo che sia più che legittimo, ad esempio, ribadire alla seconda carica dello Stato anche con veemenza di adempiere quel dovere di trasparenza che caratterizza i pubblici poteri chiedendogli di chiarire quanto emerso dal suo interrogatorio in procura in merito ad un suo presunto coinvolgimento nel reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Devo dire che sono rimasto alquanto perplesso nel leggere l’articolo di Città Nuova in cui venivano definiti “cani ringhianti” quei ragazzi, appartenenti all’associazione fondata dal fratello di Borsellino, che con la Costituzione in mano si sono limitati al massimo a fischiare (l’ex presidente della Repubblica Pertini, tra l’altro, parlava di “libero fischio in libero Stato” quale mezzo di pacifica manifestazione del dissenso) accomunandoli con gli esponenti dei centri sociali che il giorno prima avevano lanciato un fumogeno a Bonanni.
Penso che sia quanto mai necessario che noi cristiani ci confrontassimo: sono curioso di sapere ad esempio a cosa ci si riferisca quando si parla di gossip o di giustizialismo (termini troppo spesso usati con un effetto fuorviante): la maggior parte delle volte, infatti, si fa riferimento nel primo caso alle intercettazioni di un personaggio pubblico la cui privacy si restringe necessariamente di fronte alla tutela di un interesse quale la trasparenza dei pubblici poteri, nel secondo caso al diritto dei cittadini di pretendere da chi li governa il rispetto dell’art. 54 della Costituzione in forza del quale “chi svolge funzioni pubbliche deve adempierle con disciplina e onore” anteponendo l’interesse pubblico a quello privato (leggendo le ultime intercettazioni emerge il contrario). In quest’ottica mi piacerebbe sapere quanti cattolici conoscono l’ultima intervista che Paolo Borsellino rese ad una tv francese tre mesi prima dell’attentato riguardo l’attuale premier, il cofondatore di Forza Italia, Dell’Utri, e Cosa Nostra.
In ultima analisi mi sento di condividere quanto afferma Maurizio Viroli in “Dialogo intorno alla Repubblica” in risposta a Norberto Bobbio, e cioè che “la tipica inclinazione dell’italiano (anche a causa di un’idea distorta della religione), è la transigenza: cioè quella tendenza all’amnistia, all’amnesia, all’indulto, al condono. Manca, nella società italiana, l’intransigenza, cioè la risolutezza nel pretendere dallo Stato la difesa dei diritti”. In fondo, sono portato a considerare molto più pericolosi per la democrazia coloro che ostentano la fede cristiana dimenticandosi della fedina penale e della Costituzione, “nominando” senatori personaggi impresentabili. Rispetto a chi invece ancora si indigna e ribadisce con intransigenza una nuova e diversa concezione della legalità intesa anche come presupposto e non solo come obiettivo dell’attività politica.
Raffaele Natalucci