Parlando con Simone Weil
Della sua presenza invisibile ho iniziato a cogliere gli accenti in pomeriggi in cui tutto il mio turgore di poetastro si sfiniva, allora terminavo nella sottile speranza del tuo insegnamento: Quale il pensiero che mostri il Reale?
Ma più ancora sei stata come una gemella scomparsa, che porta appartenenze e somiglianze, difficili da evocare ma evidenti; e al sommo della mia religione dell’immaginazione vedere che era essa ad occludere accuratamente ogni passaggio per la Grazia, e che solo qua stava tutto ciò che l’Altrove aveva da dirmi.
E quando ancora e ancora assaporo il gusto della sconfitta, del vivere sempre sul marciapiede sbagliato, ecco la Sventura abbaccinarmi col suo chiarore d’evidenza, di fronte a cui non si può che cadere schiantati, “Come nel luogo dove c’è la verità”.
E me lo hai insegnato tu.
E se ora, desiderando il bene, attendo che si sfiniscano le urla del desiderio, fin quando la Sua voce dirà in me il Suo Corpo, è perché ho capito che tu ne avevi visto il Volto…
Insomma, chi sei per me? L’angelo del cammino, che possiede in effigie la mia storia, in un controcanto troppo puro perché si possa sentire.
Spogliaci tu
della divinità fittizia
della quale tutti
ci immaginiamo rivestiti
e saranno le impossibilità della vita
ad entrare nelle fibre
della nostra autosufficienza
e la verità della morte
entrerà nella nostra coscienza
e la farà verace,
essa stessa.
Facci cadere Tu prostrati
davanti ad ogni contingenza
e non avremo più
sistemi e categorie da sfoggiare,
novità immaginarie da prendere al volo,
saremo come tutti,
come siamo davvero:
poveri e nudi
di fronte al mistero.
Portaci Tu
con te,
dove l’amore torchiato negli attimi
irrora il campo delle cose,
dove la sfida quotidiana della necessità
ci dia il gusto rinnovato
di mettersi e rimettersi
nella contingenza…
Solo adesso la vita
significa davvero seguirti
– e lo spirito fuggitivo diventa uomo.