Parlamento semplificato Riforme possibili?
Un po’ d’emozione c’è stata. Magari dissimulata, non subito confessata. Ma entrare per la prima volta in un seggio elettorale ed esprimere nel segreto della cabina la propria valutazione sui partiti in lizza resta ancora un momento coinvolgente dal punto di vista psicologico. E meno male! I freschi diciottenni chiamati a votare non sono stati catturati dalla logica del non voto e dagli striscianti richiami dell’antipolitica. Si sono presentati e si sono espressi con un senso civico da apprezzare e da tenere a mente sia dalle famiglie che dai partiti. Hanno maturato le proprie scelte di voto più nel gruppo di coetanei (soprattutto in classe) che in famiglia, ma in casa hanno seguito gli approfondimenti televisivi e ascoltato le valutazioni di genitori e fratelli. Hanno gioito per la vittoria del Popolo delle libertà o hanno assaporato la prima sconfitta elettorale commentando i risultati in classe senza demonizzare chi ha votato in altro modo. Un’incoraggiante prima per la futura classe dirigente. Netto successo La classe politica attuale ha nel frattempo ricevuto da parte degli elettori un mandato quanto mai chiaro: è stata premiata l’alleanza Berlusconi-Fini-Bossi. Gli esperti temevano – e con loro la maggioranza degli italiani – che dalle urne sarebbe uscita una vittoria striminzita e, di conseguenza, un governo più impegnato a sopravvivere con affanno che in grado di affrontare le questioni cruciali del Paese. Le indecisioni di voto erano accentuate dalle novità della cosiddetta offerta politica, perché si presentavano in questa tornata elettorale partiti nuovi e alleanze inedite. Novità di non poco conto, perché debuttavano due contenitori – il Partito democratico e il Popolo della libertà – in cui convergono identità, culture, componenti sociali e interessi differenti che tentano una sintesi politica. La stessa campagna elettorale è stata condotta raccogliendo i pressanti inviti al dialogo e alla moderazione del presidente Napolitano, tanto da risultare sottotono anche per i mancati duelli televisivi tra Berlusconi e Veltroni e poco credibile per le tante promesse avanzate. Solo nella settimana che ha preceduto il voto i toni si sono fatti bellicosi e aspra la polemica, senza però incontrare il gradimento della maggioranza degli italiani. Un segnale chiaro, quest’ultimo, anche per il dopo elezioni; un invito a risparmiare alla gente una permanente campagna elettorale. Tsunami politico Dati inequivocabili: alla Camera, il Pdl ha raggiunto il 37,4, la Lega l’8,3, il Movimento per l’autonomia l’1,1 per un complessivo 46,8 per cento; il Pd è al 33,2 e l’Italia dei valori al 4,3, per un totale di 37,5. 9,3 punti percentuali di differenza, che il premio di maggioranza amplifica, tanto da assegnare 340 deputati ai primi e 239 ai secondi. A Palazzo Madama i rapporti percentuali sono 47,3 contro 38,0 per cento, pari a 171 senatori contro 130. Unica formazione superstite l’Udc di Casini, fortemente ridimensionata nei risultati e nelle prospettive di terzo polo: alla Camera ha ottenuto il 5,6 per cento e 36 deputati, al Senato il 5,7 e 3 senatori. Tutti gli altri partiti a casa. Ecco l’effetto tsunami sulla vita politica nazionale. In un solo colpo – e in conseguenza delle scelte dei maggiori partiti di dar vita a mini coalizioni combinate con i meccanismi della legge elettorale – sono stati cancellati dal panorama parlamentare diversi partiti, dai socialisti alla Sinistra Arcobaleno. Imprevisto il crollo di quest’ultima, che non è arrivata al 4 per cento, mentre due anni fa Rifondazione – che correva da sola – aveva superato il 7 per cento. Da 13 a 6 partiti Il risultato finale è una mutazione del Parlamento italiano, non più composto da 13 tra partiti e partitini e ora ridotto a 6 formazioni. È una inattesa semplificazione del quadro politico operato dagli elettori, divenuti insofferenti verso quello che era considerato il cancro della politica nazionale: la frammentazione crescente che obbligava ad un logorante lavoro di continua mediazione tra interessi e veti. Va dato atto a Prodi e a Veltroni di aver avviato nello stagnante orizzonte politico nazionale l’innovativo processo che ha portato il 14 ottobre scorso alla costituzione del Pd, da cui Berlusconi ha tratto spunto per approntare un nuovo soggetto partitico, con l’esclusione dalle coalizioni dei partiti più piccoli. Ne deriva un Parlamento più vicino alla fisionomia di quelli degli altri Paesi europei. Adesso l’auspicata stabilità ha dalla sua la certezza dei numeri e la solidità (il tempo verificherà gli impegni della Lega) dell’accordo politico di maggioranza. Con tali caratteristiche, ci auguriamo che la dialettica sia più chiara e il confronto più costruttivo. Il bipolarismo è adesso realtà, ed il cambio è stato così repentino che siamo quasi arrivati, in un solo passaggio, al bipartitismo. Addio rappresentatività! Viene meno un principio caro alla tradizione politica italiana e salvaguardato dal sistema elettorale proporzionale, che voleva rappresentate in Parlamento le diverse culture presenti nel Paese. Ora la destra e la sinistra antagonista non hanno deputati e senatori, non hanno voce. Un fatto preoccupante, perché le loro istanze non saranno più canalizzate nei percorsi rappresentativi della politica, con il timore di trasferire la lotta politica fuori dalle istituzioni e con lo spettro di possibili derive anche violente. Una prospettiva che il nuovo Parlamento dovrà tenere presente. Elevata affluenza dell’elettorato Tante novità, eppure tutte sorte dentro un contesto di strutture politiche e di leggi tradizionali, per non dire vecchie.Va perciò riconosciuto il merito del popolo degli elettori, la cui affluenza alle urne è stata dell’80,5 per cento. Un dato che segnala il desiderio di parteci- pazione dei cittadini ed evidenzia la loro maturità nei confronti dell’attuale assetto politico. Rispetto alla precedente consultazione il calo registrato è del 3,1 per cento. Quindi non c’è stata quell’astensione di massa paventata alla vigilia del voto. Un fatto fondamentale. Non va dimenticato infatti che veniamo da un periodo di dilagante antipolitica, di politici messi alla berlina, di distanza siderale tra Parlamento e cittadini. Se poi si aggiunge che l’attuale legge elettorale, escludendo il voto di preferenza, ha tolto al cittadino l’unico effettivo potere rimasto, una diserzione di massa poteva essere probabile e legittima. Invece è stata elevata la partecipazione anche al voto amministrativo svoltosi in varie regioni. Questo sottolinea che gli elettori sanno districarsi senza timori tra più schede e hanno apprezzato la scelta di unificare la consultazione nazionale con quelle locali, risparmiando così centinaia di migliaia di euro ed evitando una seconda campagna elettorale. Le sfide del Paese La netta maggioranza del Popolo della libertà consentirà, verosimilmente, lo svolgimento completo della legislatura. Ma il compito dei cittadini non si è esaurito con il voto. Tutt’altro. Sappiamo bene quanto siano urgenti le riforme di cui si parla da tempo, quelle istituzionali come quelle economiche e sociali. E non sarà sufficiente sostenere i propri rappresentanti. Va avviata tra i cittadini una fase costituente che possa rigenerare il Paese. La crisi, infatti, non è solo politica. È dentro la società, nello sfilacciamento dei rapporti, nel degrado morale, nell’incertezza economica di troppe famiglie, nella carenza di servizi (dalla scuola alla giustizia), nella crescente emarginazione dei poveri. Questa è la principale sfida del Paese. La nuova maggioranza è chiamata ad esserne all’altezza e l’opposizione dovrà rispondere su questo, dando prova di collaborazione, oggi sempre più necessaria, pur nella netta distinzione dei ruoli. La Lega è chiamata più che in passato ad assumere una responsabilità di governo nell’interesse generale del Paese, esprimendo in modo costruttivo la sua capacità di rappresentanza senza chiudersi in una rigida tutela del Nord, per ridurre invece il divario economico e sociale con il Sud. Proprio quel Sud, di cui è espressione il Movimento per l’autonomia. Come procederà la convivenza? Non meno importanti saranno le scelte del nuovo esecutivo riguardo alla collocazione dell’Italia in ambito internazionale, in particolare nei confronti dell’emergenza del Medio Oriente e, più in generale, nei rapporti con tutto il mondo islamico. Questioni interne e sovranazionali che attendono con urgenza il nuovo esecutivo e di cui parleremo nelle prossime analisi. LA LEZIONE DELLA LEGA CHE CRESCE ANCHE SOTTO IL PO La Lega è di destra o di sinistra? , vanno ancora chiedendosi in molti, prendendo atto dell’affermazione elettorale del partito di Bossi. Ha raccolto il consenso di parte della borghesia ma anche di ceti popolari, comprese famiglie operaie. Ha vinto non solo nelle tradizionali roccaforti del Nord – sottraendo voti al Popolo della libertà -, ma ha ottenuto significativi risultati anche sotto il Po, ad incominciare dalla rossa Emilia-Romagna (7 per cento) sino alla Toscana e alle Marche. Un voto di protesta, liquidano perentoriamente i detrattori dei leghisti. Ma è una lettura troppo affrettata e superficiale, sin quasi comoda per non compiere la fatica di un’analisi più puntuale. Dove ha raccolto consensi sopra il 25-30 per cento – e si tratta di capoluoghi di provincia tutt’altro che irrilevanti -, la Lega ha saputo incanalare disagi e attese in una proposta politica che poggia su una diretta esperienza amministrativa di comuni e province. Non siamo un partito ideologico ma territoriale, ha ricordato più volte Roberto Maroni a chi chiedeva ragioni del successo inatteso. L’8,3 alla Camera e l’8,1 al Senato sono dati davvero sorprendenti. Avremmo ottenuto anche di più se ci fossimo presentati da soli, ha tenuto a precisare Roberto Castelli. La Lega infatti non ama gli apparentamenti: nel 2001 ottenne un risicato 3,6 per cento, nel 2006 andò poco oltre il 4. In questa tornata elettorale, invece, l’alleanza con il Pdl non ha creato problemi. Anzi. È mal posta la domanda destra/ sinistra per la Lega – avverte il politologo Giovanni Sartori -. La partita si gioca sull’asse centro/periferia . Ovvero sul fattore territoriale. Certo, cavalca in modo passionale i temi della sicurezza e dell’iden- tità locale, la salvaguardia del benessere raggiunto e il disagio nei confronti di una politica centralistica e di istituzioni paludate. Ma da qui a considerare che tutti gli elettori della Lega siano razzisti e amanti della logica dei fucili è riduttivo e fuorviante. L’affermazione della Lega invita piuttosto a cogliere un’esigenza dei cittadini: la formazione di Bossi è stata premiata perché i candidati nelle proprie liste erano persone rappresentative del luogo, spesso conosciute e riconoscibili per quanto operato a favore della gente del posto. Questa è la lezione da apprendere. La gente sente la politica vicina se i partiti hanno a cuore i problemi quotidiani. Per questo la Lega ha partecipate scuole di formazione alla politica – da Brescia a Vicenza – e investe sulle persone del territorio. Sembra che la politica vincente si possa fare solo in televisione e non serva a molto stare tra la gente se non in campagna elettorale. Ma non è così.