Parlamentari per la pace in Europa, un cammino difficile
Nella competizione mondiale alimentata da un clima di guerre commerciali, l’Europa rischia di fare la fine del vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro secondo la famosa immagine manzoniana del pauroso don Abbondio costretto a confrontarsi con la violenza del potente di turno.
In un clima di forte incertezza si moltiplicano in ogni sede gli incontri informali come quello dedicato al tema della difesa europea convocato dal presidente del Consiglio europeo, il socialista portoghese António Costa per il 3 e 4 febbraio 2025 presso Le Château de Limont, nei pressi di Bruxelles con la partecipazione del segretario generale della Nato, Mark Rutte, e del primo ministro del Regno Unito, Keir Starmer.
Non si conosce al momento la portata dell’offensiva commerciale che il presidente Usa Donald Trump sta per lanciare verso l’Unione Europea dopo aver compiuto le prime mosse contro Canada, Messico, Cina, ecc., ma crea un forte allarme il forte sostegno esplicitato da Elon Munsk, collaboratore e attualmente sodale di Trump, verso l’Afd, il partito di estrema destra che appare in rapida crescita nella Germania avviata verso le elezioni politiche del prossimo 23 febbraio. L’orientamento a destra dell’elettorato occidentale trova conferma nella nomina del nazionalista fiammingo Bart De Wever a primo ministro del Belgio.
La difesa comune europea è il grande obiettivo mancato fin dal 1954, ma fortemente auspicato da statisti come De Gasperi per arrivare ad un’unione politica tra Paesi impegnati in conflitti secolari che hanno trascinato il mondo intero in due devastanti guerre mondiali.
António Costa intende preparare il terreno per arrivare ad un qualche risultato in occasione del Consiglio europeo previsto per giugno 2025, cioè nello stesso mese in cui è annunciato all’Aja il summit dei Paesi della Nato chiamati ad affrontare uno scenario che può cambiare rapidamente in pochi mesi.
A mancare è soprattutto, nonostante la Brexit, una linea di politica estera tra i Paesi Ue come si è visto, ad esempio, nell’aperto contrasto tra la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente ungherese Victor Orban che rappresenta più fedelmente l’internazionale dei conservatori guidata da Trump.
Ad ogni modo sono molto chiari i quesiti posti nella lettera d’invito del presidente António Costa ai membri del Consiglio europeo per l’appuntamento interlocutorio di inizio febbraio: «Quali dovrebbero essere — e come definiamo — le capacità di difesa che dobbiamo sviluppare prioritariamente in modo collaborativo, data la loro importanza per la sicurezza collettiva dell’Ue? Siamo d’accordo di spendere di più e meglio insieme?».
Non è in discussione la necessità di aumentare le spese militari da parte dei Paesi della Nato come richiesto dagli Usa. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica, l’olandese Mark Rutte, ha affermato che già «oltre due terzi dei partner della Nato spendono ora più del 2% del Pil in armamenti. Ma dobbiamo investire ancora di più e gli Alleati decideranno nei prossimi mesi» dicendosi convinto che sarà «molto, molto, molto più del 2%».
L’obiettivo dei Paesi Ue è quello di cercare un coordinamento tra le industrie nazionali spesso in competizione tra loro sui mercati internazionali nel vendere sistemi d’arma tra loro non compatibili come ha messo in evidenza il rapporto Draghi sulla competitività europea.
Il lavoro dell’ex governatore della Bce è confluito nella “Bussola per la competitività”, lo strumento varato dalla von der Leyen il l 29 gennaio 2025 per concretare «le eccellenti raccomandazioni della relazione Draghi in una tabella di marcia. Ora abbiamo un piano. Abbiamo la volontà politica. Ci servono rapidità e unità. Il mondo non ci aspetterà. Tutti gli Stati membri sono d’accordo: è il momento di passare all’azione».
Tra le raccomandazioni di Draghi un posto centrale è costituito proprio dallo spendere di più e meglio nel settore della Difesa. Va già in questa direzione la joint venture raggiunta tra la società italiana Leonardo e la tedesca Rehinmetall direttamente interessata dal forte piano di riarmo varato dal governo guidato da Olaf Scholz, il leader del partito socialdemocratico che è superato nei sondaggi da Alternative für Deutschland.
Si comprende, in tale contesto, la difficoltà affrontata dai parlamentari europei che hanno provato a creare un intergruppo sulla pace così come ne esistono molti altri a Strasburgo sugli argomenti più vari. Non si tratta di organi ufficiali ma di «forum per scambi informali di opinioni su questioni specifiche tra diversi gruppi politici e per i contatti tra i deputati e la società civile».
Eppure un intergruppo per essere riconosciuto dal Parlamento richiede l’accordo comune tra i presidenti di almeno tre gruppi politici. Condizione che non è stata raggiunta proprio dal sodalizio di una trentina di parlamentari per la pace che si è presentato il 31 gennaio 2025 nello spazio espositivo “Esperienza Europa” dedicato a David Sassoli. Un bel luogo che si affaccia su piazza Venezia, proprio davanti al palazzo dal cui balcone si è affacciato il volto tragico della guerra novecentesca.
L’obiettivo dell’aggregazione dei parlamentari è quello di dare spazio ad un’agenda politica alternativa «a quella di guerra☼ espressa dell’attuale Commissione Ue, come ha precisato Marco Tarquinio, indipendente del gruppo dei socialisti e democratici. Assieme all’ex direttore di Avvenire erano presentii alla conferenza stampa tre deputati pentastellati (Gaetano Pedullà, Carolina Morace e Dario Tamburrano) mentre Leoluca Orlando e Cristina Guarda hanno espresso la comune posizione dei deputati verdi italiani, opposta a quella dei loro colleghi tedeschi.
L’esiguità del drappello parlamentare per la pace, sostenuta da Flavio Lotti della Fondazione Perugia Assisi, potrà avere una certa incidenza se troverà molti altri pezzi di società civile disposti a sostenerli nel brevissimo tempo, con iniziative concrete in grado di entrare nel merito del dibattito sulla politica di difesa europea.
È importante in tal senso l’intervento dell’attuale governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, che in un recente convegno promosso a Bologna ha messo in dubbio il binomio che associa abitualmente lo sviluppo economico con la produzione di armi.
Secondo Panetta, «la produzione di equipaggiamenti bellici non contribuisce ad aumentare il potenziale di crescita di un Paese. Lo sviluppo deriva dagli investimenti produttivi, non dalle armi. Non a caso, negli anni trenta, John Maynard Keynes proponeva di incrementare massicciamente la spesa pubblica per investimenti come soluzione alla depressione economica negli Stati Uniti, suggerendo al presidente Roosevelt di concentrarsi su “l’ammodernamento delle ferrovie”».
Indicazioni concrete di politiche industriali possibili, alternative a quelle belliche, per un’Unione europea che già spende molto in armamenti, quasi quanto la Cina e il triplo della Russia.
Resta infine da capire lo spazio possibile di un’azione diplomatica europea nello spirito degli accordi di cooperazione internazionale di Helsinky del 1975, mentre, ad oggi, sembra che si posa arrivare in qualche modo ad un accordo per porre fine alla guerra in Ucraina estromettendo ogni ruolo di protagonista dell’Europa con gravi effetti sulla sua sopravvivenza come realtà unitaria nell’epoca dei nuovi nazionalismi che pongono un Paese prima degli altri. Il contrario cioè del sogno europeo.