Parlaci di Lui
Mi prese per mano Come ogni sabato, sul far della sera, si erano radunati nella sua casa. Il vecchio servitore li aveva accolti sulla porta col solito saluto ogni volta ripetuto con novità e convinzione: Shalom, fratello. Shalom, sorella, e con un sorriso buono per i più piccini. Lei, col tegame grande delle verdure e del pesce, era comparsa quando tutti erano ormai seduti a mensa. I pani erano già sulla tavola. Serviva col suo sorriso largo che appianava le antiche rughe del volto. Serviva e pareva una regina. Avevano letto le parole dei padri, avevano ricordato i detti del Maestro, avevano lodato e ringraziato il Signore, avevano spezzato il pane come tante volte Lui aveva fatto con loro e ora, a notte fonda, avevano lasciato la tavola per radunarsi attorno al fuoco. I bambini dormivano già e loro a supplicarla: Parlaci di Lui. Vi ho già parlato tante volte di Lui. Parlaci ancora di Lui. Era allettata dalla loro insistenza. La sua reticenza ogni volta era presto vinta. Non si stancava mai di raccontare la storia già tante volte raccontata e loro non si stancavano mai di ascoltarla. Era un sabato come oggi quando entrò nella mia stanza. Da giorni la febbre mi aveva domato. Distesa sul giaciglio sentivo venir meno le forze. Ero spossata. L’arsura m’aveva bruciato le labbra ed ero madida di sudore. Mia figlia non si scostava dal letto, mi vegliava giorno e notte con amore di madre. Era madre per me ed io sua figlia. Ma la sentivo sempre più lontana, la intravedevo appena, gli occhi appannati dall’ombra di morte. Sono come acqua versata – mi dicevo mentre mi assentavo da quanto m’era intorno -, sono slogate le mie ossa, il mio cuore è come cera fusa nelle mie viscere, la mia gola inaridisce come coccio di creta, la mia lingua si attacca al palato… Ma tu, Adonai, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. Quando la vita mi stava ormai abbandonando Lui entrò nella mia stanza. Non lo vidi. Da ore non aprivo più gli occhi. Non lo sentii neppure. Stavo scivolando verso lo Sheol senza più la forza per resistere. Una mano mi trattenne dall’ultimo passo. Mi aveva preso per mano. La sua mano forte e delicata. La presa decisa. Mi sollevò, mi trasse a sé. Fu un risveglio dolce, come quando hai riposato bene e a lungo, senza incubo alcuno. Mi trovai seduta sul letto. Mia figlia accanto, Simone, Andrea, il nostro servo fedele e Lui. Non l’avevo mai visto prima d’allora. Anche gli altri era come li vedessi per la prima volta. Ero morta ed ora ero viva. Tutto era nuovo attorno a me. Io stessa ero un’altra. Mi teneva ancora per mano.Me la teneva stretta. Da mano a mano passava la vita. Vivevo d’una vita mai vissuta prima. Mi fiorirono sulle labbra le parole del nostro re David: …e tu mi prendi per mano, mi guiderai secondo i tuoi disegni e poi mi attirerai nella tua gloria. Le pronunciai guardando a Lui nella penombra della stanza ridivenuta fresca e familiare. Guardavo a Lui, ma lo sentivo tutto nella sua mano, nella mia mano. Con braccio possente hai fatto uscire il tuo popolo dall’Egitto, gli mormorai. Ora sapevo qual era la mano forte che aveva liberato i nostri padri. La stessa che mi teneva stretta e mi stava liberando dalla morte. Ero scesa nella tenebra dello Sheol, e la sua mano mi aveva afferrato, mi aveva riportato in vita. Ripercorse lo stesso cammino più tardi, per tutti voi, per tutti noi. In Gerusalemme, fuori le mura della città, sulla collina, per Lui s’aperse il baratro della morte e Lui scese sotterra e con braccio possente e con la presa salda della sua mano afferrò ogni uomo, ogni donna che giaceva nella fossa della morte. Con il Signore risorto siamo tutti risorti. Ma questo non lo sapevo ancora. Allora sentivo soltanto un sangue nuovo che mi pulsava nelle vene, un soffio di vita che m’entrava nelle narici. Mi sentii viva, viva, viva. Ero in piedi e Lui mi teneva ancora per mano. Quando lasciò la sua presa ero già viva, ero tutta viva. Avevo la forza di quand’ero ragazza in casa di mio padre, la forza della moglie giovane quando governavo la casa di mio marito. E cominciai subito a preparare il pranzo per Lui e gli altri di casa. La casa, che s’era addormentata con me, con me si risvegliò. DESIDERARE QUELL’INCONTRO Posta in riva al lago di Galilea, lungo la grande arteria che da Beisan conduce a Damasco, Cafarnao è una seconda patria di Gesù. A differenza di Nazaret, frazione montagnosa tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazione, Cafarnao permette a Gesù di incontrare moltissime persone. E proprio queste sono i protagonisti del nuovo libro di Ciardi. Si tratta infatti di racconti narrati da chi le cose le ha vissute ormai da tempo e che tuttavia le ha talmente vive dentro che sembrano appena accadute. Racconti antichi, dunque, eppur sempre nuovi ed attesi. Non ci si stanca di chiederli ancora né di raccontarli perché narrano di una storia, di un incontro che continua a segnare la vita. Con un’efficace finzione letteraria l’autore inscena un dialogo tra un gruppo di persone che si ritrovano ed i vari personaggi che si alternano nel narrare il loro incontro con Gesù. Sono la suocera di Pietro, Giairo, il servo del centurione romano, il paralitico… Fedele alla narrazione evangelica ed attento al contesto storico degli episodi riportati, Parlaci di Lui è un testo capace di coinvolgere il lettore per lo stile vivace ed a tratti poetico; un testo che si presta particolarmente a toccare le corde del cuore di chi legge e a suscitare anche in lui il desiderio dell’incontro con Colui che continua ad affascinare per il suo sguardo, le sue parole, il suo senso della giustizia e dell’amore, per la forza che ha di poter cambiare e dare sapore nuovo all’esistenza. Gennaro Rosato, biblista