Parigi, Daesh, i giochi nascosti e la speranza

Siamo in pieno stato confusionale, praticamente tutti, nell’intera nostra vecchia Europa. Parigi, quello che è successo qualche giorno fa e quanto sta ancora accadendo non ci lasciano indifferente, nessuno di noi. Il resto, almeno in Italia, lo fanno i media
Parigi 13 novembre 2015

In queste sere, non per interesse personale a questo tipo di programmi, ma per cercare di carpire quanto sta accadendo nell’animo degli uomini e delle donne del nostro Paese e dell’Europa, sbircio sempre i vari talk-show che la nostra Rai ci propina con grande generosità e con incredibile omogeneizzazione. I protagonisti sono sempre gli stessi, spesso si scambiano di studio e di scena, ma restano fondamentalmente gli stessi. La tecnica, sia pure sulle diverse reti, è quella del “difendersi dal grande nemico”, che in modo subdolo, ma costante, è identificato con l’Islam. La metodologia è quella di gestire la scena in modo che in fin fine ci si scontri, buoni contro cattivi, civili contro incivili, in definitiva occidente contro musulmani. La minaccia è sempre lì e, appena si affievolisce il pericolo, con grande maestria mediatica viene riproposta.

 

Hollande ha “dichiarato guerra”, l’occidente è interpellato a scendere in campo, vari dei nostri politici usando un linguaggio penoso che, come ha giustamente e civilmente fatto notare in varie occasioni l’imam di Firenze, Izzedin Elzir, non si addice a chi dovrebbe lavorare per il bene comune e la gestione positiva della res-pubblica, si atteggiano a salvatori della patria volendo blindarci in un mondo che non esiste più e non esisterà mai più. Siamo destinati a convivere con persone di altre etnie, culture, lingue, religioni. Cercare di arrestare questi processi ci rende ridicoli, nuovi Don Chisciotte, con dei mulini a vento che, invece, rischiano di spazzarci via perché non sappiamo armonizzarci con lo scorrere inesorabile della storia.

 

A fronte di tutto questo, mi viene spontaneo un interrogativo. Ci rendiamo conto che questo è proprio ciò che vuole chi sta dietro alla strategia della Terza guerra mondiale combattuta a pezzi in cui ci troviamo coinvolti?

 

L’idea è proprio quella di provocare lo scontro, fra occidente e musulmani, fra musulmani sciiti e sunniti, fra Iran e Arabia Saudita, in qualche modo tutti contro tutti; insomma, un caos dove, come sta succedendo in Siria, nessuno sa più chi combatte per chi e contro chi. E’ la forma moderna del celeberrimo adagio romano – divide et impera -, che permise a Roma di dominare il mondo e sul quale si è, poi, abilmente fondati il colonialismo capace di fomentare divisioni reali o latenti fra gruppi tribali o etnici in Africa o in alcune parti dell’Asia, musulmani e indù nel sub-continente indiano. Lo stesso hanno fatto e continuano a fare in nome della democratizzazione del mondo il neo-colonialismo e la politica di vari Paesi occidentali negli ultimi decenni. Oggi siamo vittime della stessa subdola strategia e ci stiamo cascando pensando di difendere noi, i nostri Paesi e il mondo.

 

È chiaro che Daesh non è fine a se stessa e, nonostante un’apparente agenda politica o geopolitica chiara e inarrestabile, condita da proclami farneticanti e strategie ed atti di inaudita violenza con immensa capacità mediatica, oggetto di manipolazione di chi, fra qualche tempo lo abbandonerà al suo destino, come è stato, per esempio, per al-Qaeda. Con tutta probabilità fra qualche tempo – forse lo scopriremo fra qualche anno o decennio o lo faranno coloro che saranno vivi allora – verrà chiaramente in evidenza chi manovra queste milizie che ci stanno gettando nel panico. Il pericolo, comunque, è reale. Tuttavia reagire solo con la violenza, la discriminazione e l’odio non porta da nessuna parte se non a quella divisione che permetterà ai signori che stanno dietro a queste strategia di governare il mondo per i loro interessi ancora nei decenni a venire.

 

Che la situazione sia critica non lo può negare nessuno. Tuttavia, a fronte di una paranoia collettiva sul problema sicurezza che resta concreto e prioritario, ma non esclusivo, sarebbe necessario un progetto positivo di costruzione di un futuro integrato che sappia gestire i processi migratori che vengono demonizzati da una politica miope e settaria come la causa di quanto sta accadendo.

 

A questo proposito, in questi giorni concitati, macchiati di sangue e intrisi di parole e sentimenti di odio e di vendetta, ho apprezzato un piccolo evento a cui ho partecipato ieri sera. Si tratta della presentazione del nuovo numero della rivista di geopolitica e immigrazione Affari Internazionali. Il numero in questione è uno studio monografico curato dal Centro Studi e Ricerche Idos (Dossier Statistico Immigrazione) e dal Centro Studi Diplomatici. Il titolo è efficace: Mediterraneo: geopolitica, migrazioni e sviluppo. Ecco: la parola chiave mi pare stia proprio in quell’ultimo sostantivo, sviluppo. Dalla lettura e dagli avvenimenti dell’attuale geopolitica, dai flussi migratori dovrebbe emergere non solo la questione sicurezza, che è assolutamente necessaria, ma che non può essere l’unica chiave di lettura del presente e la sola proiezione per il futuro. Lo sviluppo come possibilità concreta e sostenibile offre una prospettiva positiva che ci coinvolge tutti in processi non solo di difesa ma di creazione attiva. Quello che i diplomatici e analisti hanno cercato di dare come loro contributo negli studi che vengono approfonditi è proprio la necessità di scoprire e convincerci che quanto sta accadendo – guerre, problemi climatici e carestie, migrazioni bibliche, tensioni sociali – ha bisogno di trovare uno sbocco positivo, una prospettiva per il futuro. Sviluppo, e non solo difesa, dovrebbe essere la parola chiave in questi giorni.

 

La violenza non la si sconfigge con la violenza, ma con una pace creativa. Creare progetti di sviluppo sostenibile nei Paesi da cui parte l’emigrazione verso l’Europa significa offrire possibili soluzioni alla radice dei processi migratori. Ma anche generare politiche di sviluppo integrato, sia sociale che economico, nella nostra Europa vuol dire sanare il tessuto sociale, evitare tensioni nelle periferie e nelle banlieue dove nasce il terrorismo che ci colpisce al contrario di quanto ci vogliono propinare media e certi politici. È ancora necessario capire che il futuro non sarà più “mono”, ma inevitabilmente “pluri” con un potenziale incredibile di mutuo arricchimento. D’altra parte i processi storici non sono mai indolori e siamo testimoni di una di quelle fasi della storia dell’uomo, dove avvengono mutamenti epocali. Come dice giustamente Federico Rampini, nel suo recente volume L’età del caos, «siamo le prime generazioni testimoni di un evento inaudito, la chiusura di una fase storica durata mezzo millennio». Non è la prima volta che capita nella storia. Altri momenti, forse ben peggiori, si sono verificati. Capitò anche a un grande nord-Africano (forse oggi lo definiremmo un profugo o un migrante): sant’Agostino. Il suo merito fu quello di sapere guardare al mondo nuovo che stava nascendo non al vecchio che stava crollando.

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