Parigi 2024: Italvolley e Julio Velasco nella storia
Cala il sipario su questa edizione di Giochi Olimpici: tanti i bilanci ancora da fare e le medaglie di cui parlare ma, per il momento, godiamoci l’ultima medaglia dei nostri azzurri o, meglio, delle nostre azzurre.
“Qui e ora”
Cala il sipario sulle Olimpiadi di Parigi 2024 e, per il nostro Belpaese, è calato nel migliore dei modi: certo, la medaglia era assicurata da giorni e, alla fine dei conti, che sia oro o argento poi va bene uguale, ma non siamo qui a celebrare i numeri o la bellezza del metallo, ma la leggendarietà di questa medaglia, la sua importanza per la nostra squadra femminile, per l’Italvolley, per Julio Velasco che, finalmente, dopo questo oro, può dire di aver spezzato quella “maledizione” che durava dal 1996, può dire di aver chiuso il cerchio.
Il c.t. della nazionale, infatti, è stato un perno fondamentale per questa vittoria: non si può di certo dire che le nostre azzurre siano state prese dal basso, il loro percorso – pur essendo partito da lontano e con non poca fatica – era già arrivato in alto con tappe esaltanti, ma anche con sconfitte cocenti e grossi problemi di personalità con quella mediocre fetta di Italia che fa fatica ad accettare campionesse “dai tratti somatici che non rispecchiano quelli della maggioranza degli italiani”.
Ma questo non è interessato a Julio Velasco, lui che in mezzo alla dittatura argentina ha dovuto lottare per poter esprimere la sua opinione, ha insegnato alle sue ragazze a fare lo stesso e a fregarsene dei pareri dei mediocri, del passato, delle sconfitte che bruciavano sulla loro pelle: “qui e ora” questo è stato il suo, il loro motto durante queste Olimpiadi. E il motto ha funzionato, ha funzionato meglio di quanto, forse, lui stesso e le sue ragazze avessero potuto immaginare.
Non contano i numeri, lo sappiamo, ma, a volte, per poter cercare di spiegare la grandezza delle imprese compiute, i numeri aiutano specie, se come in questo caso, sono impressionanti. Vinte sei partite su sei, 18 set guadagnati e uno solo perso: «Forse è un record», dice Velasco. Forse, sì, ma questo non ci interessa, quello che ci interessa è qui e ora ed è qui e ora che abbiamo una medaglia d’oro olimpica, l’unica che ci mancava, l’unica che mancava al palmarès impressionante di un grande allenatore che, in giro per il mondo, ha davvero vinto tutto tranne quest’oro.
Un oro inseguito e poi sfumato ad Atalanta nel 1996 con quella che passò alla storia come “la generazione di fenomeni” del panorama della pallavolo mondiale grazie all’arrivo, nel 1989, di Velasco che è stato il primo vedere dei fenomeni in quei ragazzi. Un oro che sembrava non essere destinato all’Italvolley, culla di campioni ma senza il metallo più pesante nella gara che conta di più, quella a Cinque Cerchi. Un oro, infine, arrivato, arrivato proprio insieme a Velasco. «Chi vince festeggia, chi perde spiega», aveva detto una volta Velasco e, oggi, il nostro c.t. non ha più nulla da spiegare, solo da festeggiare un traguardo che, più che con l’allenamento, è arrivato con la testa.
Una vittoria di schemi e mente
È arrivato con la testa, perché è con quella che Velasco ha sempre lavorato: schemi e mente sono sempre stati i punti cardine dei suoi allenamenti e una buona dose da allenatore psicologo. Lui, vissuto in un Paese in cui la sanità mentale viene messa a dura prova, cresciuto con l’incubo dei desaparecidos, diventato uomo senza sapere se quella notte le guardie avessero lui o il fratello Louis come mira, lui ha deciso che è con la mente che si lavora perché senza, il corpo non può fare miracoli.
«Poi Julio entra a gamba tesa sulla nostra autostima. Ci mostra le immagini di una partita persa contro le forti cubane. Ci esorta a osservare le nostre avversarie. Hanno sguardi indolenti. Masticano enormi bubble gum con l’espressione di chi sta in fila al supermercato. Giocano senza impegno, ci osservano come se fossimo nanetti di marmo piazzati nel loro giardinetto. E ci battono. Così viene percepita l’Italia femminile ai grandi tornei, poco più di un allenamento prima delle partite vere», così scrive di Velasco – c.t. dell’Italia femminile anche tra il 1997 e il 2000 anno, tra l’altro, in cui la squadra femminile ha conquistato la prima, storica, qualificazione alle Olimpiadi a Sydney – Maurizia Cacciatori nella sua autobiografia Senza rete.
È stato tutto un lavoro mentale il suo, arrivato solo quest’anno, nonostante una squadra comunque fortissima, non ci si sarebbe mai potuto aspettare tanto e, invece, ce l’ha fatta, ce l’ha fatta con le donne, ce l’ha fatta adesso perché prima, forse, non sarebbe riuscito, la sua mente non ce l’avrebbe fatta, «perché le donne non sono uomini, hanno linearità diverse. E quando vincono fanno un clamore terribile. E allora, oltrepassati i 70 anni, saprò gestire anche questo flusso».
E oggi, a 72 anni, questo flusso, caro Julio, lo hai gestito benissimo, con la testa, fino alla fine, fino all’intervista prima della finale quando hai dichiarato: «ma intanto abbiamo già l’argento assicurato (…). Godiamoci quello che abbiamo», fino alla finale in cui le tue ragazze hanno annientato le ex campionesse olimpiche in tre set, fino al post gara quando, dimostrando ancora una volta la tua immensa saggezza, hai suggerito a Baggio di non pensare più a quel rigore sbagliato perché, tanto, lui è comunque Baggio; fino al podio quando, tra tutte le ragazze sorridenti, emozionate, commosse, c’erano sguardi di intesa e c’era lo scambio delle medaglie tra la ex e la attuale capitana, senza invidia, senza rancore, ma solo con unione.
Perché è con l’unione che una squadra forte arriva a vincere: non sono solo le punte di diamante, non è solo Paola Egonu, ma sono le 13 insieme a fare la forza: sono Alessia Orro, Carlotta Cambi, Caterina Bossetti, Myryam Sylla, Loveth Omoruyi, Gaia Giovannini, Anna Danesi, Sarah Luisa Fahr, Marina Lubian, Paola Egonu, Ekaterina Antropova, Monica De Gennaro e Ilaria Spirito. E segniamoci bene questi nomi perché sono loro, loro tredici, tutte insieme, che hanno fatto la storia.
Quindi grazie ragazze, grazie Julio Velasco, grazie perché ci avete portato in alto, ci avete fatto sognare, non “qui e ora”, ma per sempre.
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