Paraguay: un esempio di come gestire insieme l’acqua potabile

La natura di beni comuni come l’acqua, suppone che anche la gestione sia collettiva. È possibile? Buoni esempi non mancano.
(AP Photo/Jorge Saenz)

Le sfide drammatiche della pandemia e del cambiamento climatico stanno sottolineando –a chi vuole vedere ed ascoltare – l’esistenza, l’importanza e la funzione dei beni comuni. L’individualismo promosso da una globalizzazione refrattaria alle norme etiche di una governance più equa, ha provocato una carestia di beni comuni, di cui se ne avverte l’effetto negativo.

(AP Photo/Jorge Saenz)

Vari economisti che appaiono abitualmente su Città Nuova, come Stefano Zamagni e Luigino Bruni, stanno approfondendo da tempo il dibattito attorno alla categoria dei beni comuni, segnalando le differenze tra questi, i beni pubblici ed i beni privati. Differenze che suppongono anche diversi criteri per la loro gestione. In sostanza questi inizi di teoria dei beni comuni, che ha bisogno di sviluppi (*), insegna che la loro natura comunitaria suppone anche una gestione tenga conto di questa dimensione. Molte esperienze positive in merito lo confermano. Ne rassegna varie Elinor Ostrom, Nobel di Economia 2009, nel suo Il governo dei beni collettivi, dove la gestione comunitaria ha ottenuto buoni risultati (e segnala anche quali errori hanno invece compromesso il buon esito di altre iniziative).

In tempi recenti, ha fatto capolino la positiva esperienza del Paraguay in merito alla gestione comunitaria di un bene comune vitale: l’acqua.

Il Paraguay non è tra i Paesi più sviluppati, anzi sono ancora troppi i poveri: quasi il 25% dei suoi 7 milioni ed oltre di abitanti, con un coefficiente di Gini (indice delle disuguaglianze) elevato (0,48). Il suo territorio, all’altezza del Tropico del Capricorno è mediterraneo, i poco più di 400 mila km2 sono incastonati al centro del continente sudamericano tra Brasile, Argentina e Bolivia. La sua economia è la 15esima della regione.

Eppure, grazie a una normativa di più di 70 anni fa, il Paraguay viene indicato tra i Paesi che meglio hanno ottenuto un accesso equo all’acqua. E ciò mentre un quarto dell’umanità non dispone di acqua potabile o vi accede con grande difficoltà. Il vero problema, come spiega alla BBC Luis Felipe López Calva, direttore regionale del programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Pnud), non è la disponibilità mondiale di acque sotterranee, ma la gestione di questo bene. In America Latina, sostiene López Calva, “l’accesso all’acqua è molto disuguale”, ma tali problemi si possono evitare e per questo indica l’esempio paraguayano.

(AP Photo/Jorge Saenz)

I risultati sono incoraggianti. Intanto, oggi la differenza di accesso all’acqua tra settori urbani e rurali o tra ricchi e poveri è di appena due punti in percentuale. La Ong Water Aid va incluso oltre e sottolinea che a livello mondiale è il Paese che ha maggiormente incrementato la distribuzione del prezioso liquido nelle zone rurali. L’accesso basilare all’acqua è oggi garantito al 99,6% della popolazione.

Lo strumento utilizzato per tali buoni risultati è il Senasa (servizio nazionale per l’acqua potabile), il cui funzionamento ha una base comunitaria che, invece di essere centralizzata, si compone di migliaia di Juntas de saneamiento (circa 4.000), assistite dal Senasa che da loro la necessaria formazione tecnica. Composta da 5 concittadini eletti da una Assemblea costitutiva, il lavoro della Junta è ad honorem dura un quinquennio. Ogni Junta de saneamiento può contrattare operai, tecnici ed amministratori il cui lavoro e finanziato dalla tariffa del servizio dell’acqua potabile. Il valore della tariffa viene stabilito da ogni Assemblea (in genere attorno ai 2,8 euro per 12.000 litri). In ogni località viene scavato un pozzo, la cui acqua è pompata fino a un serbatoio elevato dal quale si distribuisce per gravità. L’82% dell’investimento è finanziato dallo stato, le comunità locali contribuiscono con la differenza. Nel caso delle comunità indigene, lo stato contribuisce con la totalità del costo.

Nel giro di pochi decenni, dagli anni 90 in qua è stato possibile duplicare la copertura nazionale di acqua potabile. E non è che sia aumentata la disponibilità di acqua, piuttosto si è investito “per migliorare il governo dell’acqua”, sottolinea alla BBC López Calva. Esiste la sfida di ampliare l’accesso a questo bene nella zona più arida del Paese, il Chaco, dove vive il 3% della popolazione, che è anche la più povera. Ma le premesse fanno ben sperare.

(*) Vedi il saggio di Stefano Zamagni, I beni comuni per il bene comune, 2014, Edizioni Casa della Cultura, disponibile in digitale.

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