Paperodissea sugli oceani
No, no e poi no! Io il bagnetto stavolta non me lo faccio. Non ne ho voglia! protestò Stefano, sull’orlo di una crisi di pianto mentre la mamma, incurante dei suoi capricci, lo trascinava verso la vasca. Tieni, fallo con questa che è la tua preferita! lo esortava lei, mettendogli sotto il naso una sorridente paperella di plastica gialla, che però il bambino scaraventò lontano, tanto era di cattivo umore. La paperella, invece, caduta sulle lucide piastrelle del bagno, continuò a sorridere. Fu allora che dalla stanza accanto si udì la voce pacata di nonno Umberto: Se fai il tuo bagnetto senza far disperare la mamma, ti racconto la favola delle trentamila paperelle che hanno percorso gli oceani…. Dopo un attimo di silenzio, il bambino rispose, ancora un po’ imbronciato: Solo se è vera però…. Ti ho mai raccontato frottole? fu la risposta. Fu così che poco dopo, lavato e strigliato a dovere, e per di più riconciliato con la sua paperella gialla, Stefano ascoltò questa storia davvero singolare… Dovevano navigare solo in una vasca da bagno, per la gioia dei bambini intenti al loro bagnetto, e invece… plaff! erano finite nelle gelide onde al largo dell’Alaska. Di cosa si trattava? Di quasi trentamila tra paperelle, rane e tartarughine di plastica rovesciate dai container di un cargo salpato da Hong Kong, durante una tempesta. In balia delle onde, dei venti e delle correnti, iniziò per le vittime di questo naufragio un’avventura che sarebbe durata addirittura una diecina di anni. Così a lungo che i bambini a cui erano destinati i colorati animaletti, ormai cresciuti, rivolsero a ben altro i loro interessi. Di solito, queste creature acquatiche tipo paparelle, rane e tartarughine vivono in buona armonia tra loro. E neppure le loro riproduzioni in plastica facevano eccezione. Stavolta poi l’infortunio capitato e l’incertezza del futuro le costringevano ad essere ancora più solidali tra loro. Ma rimanere unite era difficile, a causa del gioco dei venti e delle correnti. Così, tristemente, a poco a poco, cominciarono le separazioni. Ci furono dei gruppi che, attraversato lo stretto di Bering, rimasero intrappolati per un tempo che sembrò loro in1 finito tra i ghiacci, a far conoscenza con pinguini, foche e leoni marini. Altri presero rotte più frequentate dalle navi, e avvistati dagli equipaggi e dai passeggeri, costituirono un simpatico diversivo nella navigazione, a volte piuttosto monotona. Gli uccelli marini scendevano a fior d’acqua per vedere da vicino quello spettacolo mai visto, pensando di avere a che fare con qualcosa di commestibile. Ma le paperelle, mandate a testa in giù dalle loro beccate, tornavano a galleggiare diritte, imperturbabili anche sotto gli assalti degli uccelli, che presto si stancavano e decidevano di andarsi a cercare un cibo più digeribile. Non mancarono veri drammi, come quando venivano ingoiate da pescecani o da altre grosse creature marine. Queste ultime in genere morivano soffocate dalla plastica, mentre le indistruttibili paperelle, col tempo, riuscivano a tornare a galla. Ormai erano diventate famose. Periodicamente, ad ogni avvistamento, giornali e tv ne parlavano, con grande soddisfazione della fabbrica produttrice di quegli animaletti, la prima a rimanere sorpresa della resistenza ad ogni intemperia del materiale di cui erano fatti. Ancora più soddisfatto però era uno studioso degli oceani, l’americano Curt Ebbesmeyer. Bisogna sapere che oggi come oggi non tutto è ancora chiaro di quanto avviene negli oceani; elaborare un modello che aiuti ad orientarsi fra le correnti e i venti marini. è dunque l’obiettivo di tanti studiosi come Ebbesmeyer. Fin allora costui si era interessato alla… spazzatura e ai rifiuti che vagano per gli oceani, convinto che è più utile nonché più economico cercare di ricavare quelle leggi dal loro percorso piuttosto che ricorrere a chissà quali sofisticate attrezzature. Ora, le migliaia di paperelle & C. sparse sulla superficie marina della Terra erano una benedizione per lo studioso, che non vedeva l’ora di recuperare qualche esemplare restituito dalle onde, per cercare di strappargli i suoi segreti. Ma i più felici erano i bambini di alcune isole remote, quando vedevano approdare alle loro spiagge orlate di palme quei giochi che forse non avevano mai visto. Immagino uno di loro. Come ogni giorno stava facendo il bagnetto da solo (senza l’aiuto di una mamma troppo premurosa) nelle acque basse e limpidissime davanti alla sua capanna, dove guizzavano miriadi di pesciolini tropicali. Ad un tratto vide accostarsi a riva dal largo un oggetto misterioso. Gli andò incontro e… sorpresa! Era una paperella tutta sola, scolorita ma sempre sorridente dopo dieci anni e più di navigazione. Un sorriso allargò il volto del piccolo indigeno, che prese e strinse al cuore quel regalo inaspettato di tre oceani.