Myanmar, le sfide che attendono il papa

Francesco si prepara a volare nel Paese di Aung San Suu Kyi e in Bangladesh. Qualche punto di riferimento per capire i punti nodali che dovrà affrontare.

Ormai mancano pochi giorni e papa Francesco inizierà un viaggio che lo porterà in Asia. Un viaggio per tanti misterioso, se non nebuloso. Anche se Bergoglio ha abituato il mondo intero a novità già dai primissimi momenti dopo l’elezione, questo volo verso l’Asia arriverà in effetti in due nazioni, Myanmar e Bangladesh, in cui il popolo cristiano è un “piccolo gregge” e non sempre è trattato con modi delicati, anche se in fondo con rispetto.

La Chiesa in Myanmar gode di una buona posizione all’interno della società e il governo militare di un tempo (come tutti quelli della regione, del resto) non ha mai potuto dire nulla sulla nomina dei vescovi o di nessuna altra carica all’interno della Chiesa cattolica: e così è ancor oggi. La Chiesa gode così della necessaria libertà. Non accade così nei confronti del buddhismo, per esempio, che in Myanmar (e nelle nazioni limitrofe), anche se gode della posizione di maggioranza numerica schiacciante, in definitiva è uno strumento per “controllare” la gente. E i monaci sono, esclusi alcuni casi isolati, accondiscendenti verso le politiche governative. Eppure il papa è atteso anche da molti monaci buddhisti in Myanmar, che vedono nella sua visita un’occasione per un passo in avanti decisivo verso il dialogo e la riconciliazione nazionale tra i diversi gruppi etnici. «Si aspettano in tanti un miracolo di dialogo e unità – come mi ha detto padre Mariano Soe Naing, portavoce della visita di Francesco in Myanmar –. Sì, il nostro Paese aspetta questo miracolo di riconciliazione e tanti sanno che il papa è capace di una cosa del genere e lo attendo con ansia».

Dopo le notizie devastanti del problema con il popolo rohingya, la Chiesa in Myanmar, attraverso il suo massimo rappresentante, il cardinal Charles Bo, ha sempre mantenuto un atteggiamento prudente e non ha mai seguito la corrente internazionale di notizie che ha condannato il Premio Nobel per la pace 1991, Aung San Suu Kyi. La Chiesa, nei suoi rappresentanti non ha mai parlato di “pulizia etnica” nei confronti dei rohngya. Chi ha memoria storica e buon senso, sa infatti che senza il supporto di Aung San Suu Kyi ora ci sarebbe solo guerra civile, cioè il ritorno a un capitolo della storia del Myanmar sanguinoso e doloroso, appena finito dopo 70 anni di disastri, anche se non del tutto sanato. Il card. Charles Bo ha aggiunto, in questi giorni: «Col passare del tempo si capirà meglio che l’agenda di Aung San Suu Kyi porta verso la riconciliazione nazionale».

E in Bangladesh? Papa Bergoglio sarà il terzo papa a far visita al Paese musulmano, dopo Paolo VI nel 1970 (per poche ore) e dopo Giovanni Paolo II nel novembre del 1986. Il Bangladesh si muove, in questi ultimi anni, tra un clima di pluralismo religioso e culturale da una parte e di estremismo islamico dall’altra, come quello del gruppo Bangladesh Hefazat-e-Islam, sempre più intollerante e intransigente: basti pensare alle stragi di stranieri, circa 50 morti, e alla susseguente dura repressione del governo, con l’uccisione di una settantina di militanti islamici. L’ideologia estremista si fa strada o almeno tenta in tutti modi di farla, e va combattuta perché s’insinua sempre di più nella società. I leader musulmani moderati sono presenti e attivi, come Maolana Fariduuddin Masoud, presidente del gruppo liberale musulmano Jamiyat-ul-Ulema, che ha affermato pochi giorni fa: «Amore e ospitalità saranno in evidenza durante la visita del papa. Francesco è una figura santa e un leader mondiale. La popolazione è onorata di averlo in Bangladesh e gli doneremo un affetto traboccante».

Due visite ricche di appuntamenti importanti, con presidenti, leader politici e religiosi, col clero e con la gente comune, cristiani e non cristiani. Il papa si reca in Bangladesh e Myanmar «per riconfermare nella fede il popolo cristiano e per incontrare gli uomini di buona volontà», come ha affermato un analista non cristiano della regione. E ha così continuato: «Il papa non è solo dei cristiani, ma è un leader religioso per tutti gli uomini che cercano la pace e riconoscono in lui, nella Chiesa Cattolica, una luce in questa notte culturale, troppo vicina alla guerra». E di pace c’è tanto bisogno, anche in Asia.

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